Contributo stampa – i fantasmi pericolosi…

questa nota stampa non è stato inviata al sito istituzionale di basilicatanet ed al giornale basilicata 24

I fantasmi pericolosi che aleggiano in regione 

Quando nel 2010 decisi di appoggiare apertamente la lista di Matera a 5 stelle nella competizione per le elezioni amministrative cittadine, appoggiavo un gruppo di giovani che parlavano di decrescita felice ed energie rinnovabili, di un nuovo approccio alla sostenibilità ambientale e sociale, di partecipazione e connettività, in un mix di proposizioni a volte ingenuo, ma sincero, in un rapporto supposto fecondo, ma del quale sin da subito cominciai a percepire l’etero-direzione terza rispetto agli obiettivi originali.

Eterodirezione che già lasciava presagire la deriva seguente, quella consumata quando la prospettiva di penetrazione nei tanti varchi lasciati liberi dalla politica si era resa evidente, eterodirezione fatta di visceralismi agitati ad arte per raccogliere consensi disperati di una società che non riceveva certo più risposte dalla politica e dall’istituzione, nella proposizione di bizzarrie economiche impossibili, modelli organizzativi tutti da verificarsi nella democraticità di uno strumento, il web, facile a strumentalizzarsi in molte delle sue dinamiche, oltre quell’uno vale uno e l’uno che vale più di tutti insieme che suona di un neo-stalinismo che la rete non rende meno autoritario, tra palesi contraddizioni social-confuse in cui le uniche categorie percepibili sono ormai il belare rabbioso del tifo da stadio dell’anti-casta.

Ed è proprio qui il punto da cui parte il successo di Grillo in una società senza più riferimenti e sintesi che la politica pur aveva sino a qualche anno da “rappresentato” se non assicurato, da un riconoscersi rabbioso di sempre più consistenti spezzoni della società esclusi ormai da ogni processo di benessere e partecipazione ai processi decisionali, in un generale risentimento di rivalsa e di odio nei confronti di classi politiche sentite come sempre più lontane dai bisogni concreti e sempre più ostaggi-complici di poteri al di fuori del concetto di democrazia, ed il cui pretium consiste in quei privilegi garantiti e difesi contro il popolo presunto buono che reagisce alla “malvagità di complotti pluto-giudaico-massonici” ed il cui compito è ormai la rottura di ogni schema anche razionale che riconduca ai sistemi politici fondati sul compito dei partiti come sintesi del sociale. 

Nessuno si meravigli quindi del delirio che si consuma in quei no ad oltranza che diventano la liturgia di una cerimonia persino in questi giorni di grave crisi istituzionale in cui sarebbe richiesto il solo senso comune dell’evitare catastrofi tipico della maturità e del raziocinio – un solo si romperebbe l’incanto di quell’irrazionale post-wagneriano in cui aleggiano eroi e nemici in una saga del walhalla, mentre mire ed obiettivi di Grillo & Casaleggio si servono dell’irrazionale come veicolo di militanza acritica – quei no non sono razionali o politici, ma il segnale di un salto nel XXI° secolo su inediti schemi per vecchie pratiche che già Lenin teorizzava esattamente un secolo fa, quando suggeriva che favorire l’esplodere delle contraddizioni interne al sistema lo avrebbe fatto implodere su se stesso.

Inutile dire che buona parte del successo del grillismo ha risieduto e risiede nell’incapacità delle classi politiche di riuscire ormai anche solo a percepire la realtà sociale (e così modificarla, essendosene avulsa nel momento stesso in cui la rappresentanza è stata privata dal bagno sociale con quella legge elettorale che ancora oggi suona a vergogna per il paese, immobilizzandolo tra larghe intese che non rendono ormai differenze sostanziali sui grandi temi) ed organizzare una risposta non solo al dilagante populismo, ma soprattutto al dilagante bisogno in cui trova terreno facile quella pianta fascistoide.

Grillo nasce e prospera nella cattiva politica che innegabilmente gli ultimi 20 anni ci hanno consegnato dopo la “sveglia” di tangentopoli e la nascita dei partiti proprietari e dei sogni, in una onda lunga della nostra storia che, se transita attraverso il cavalierato neo-peronista che già fu di quel piano di rinascita democratica, transita però anche attraverso una colposa fuga dalla rappresentanza dei soggetti sociali da parte di quelli che erano stati i partiti di massa dal secondo dopoguerra, l’ex PCI e l’ex DC, nelle faticose nemesi che li hanno visti prima bozzoli e poi crisalidi dell’attuale PD.

Ciò vale a dire che, nel mentre il mondo cambiava al cambiare dei bisogni spesso effimeri e quindi dei consumi (consumismo) e del modello economico che li spingeva (neo-liberismo), quei soggetti politici, anziché interrogarsi sulla società e sulle modalità di rappresentanza della stessa che simili modelli di fatti imponevano (basti pensare all’affacciarsi delle associazioni di consumatori che assumevano una sorta di semi-potestà politica, surrogando la rappresentanza dal diritto al consumo), hanno scelto di non scegliere, preferendo seguire la corrente di una sinistra “felicemente” omologata a un’economia globale finanziarizzata,  spingendosi a considerare Tony Blair e Bill Clinton a modello di una moderna sinistra europea che trapassa il fossato delle idealità per arrivare ad un pragmatismo filo-mercantile in cui, flirtando con la finanza ed i suoi peggiori guru arraffoni, si poneva a calmiere sociale la “bufala” che il mercato avrebbe auto-regolato tutto. Un errore clamoroso, anche perché alla società il quadro di quale fosse la referenza sociale della sinistra era già diventato chiaro.

Una sinistra per di più malamente appiattita, nella sua versione italiana, su forme di manierismo anti-berlusconiano che hanno finito per consegnarla ad una sindrome di Stoccolma nei confronti proprio di quel sequestratore di senso comune, rendendola incapace di una propria peculiare proposta politica di fronte ad una popolazione il cui senso critico tendeva sempre più a trasformarsi in un borbottio di cupa e rabbiosa rassegnazione, fino all’apparizione dell’ammaestratore di quella rabbia in un esercito di voti che non hanno prodotto politicamente alcun risultato, se non bloccare il paese in una serie di dinieghi e veti acritici in attesa di un qualche ultraterreno e salvifico armageddon.

Il grillismo, così come oggi appare, nasce cioè dal punto più basso del confronto politico tra la sinistra incapace di autonoma proiezione sociale oltre il tatticismo ed una destra talmente identificata nel suo mentore-proprietario da avere assunto a propria ragion d’essere l’acritica difesa ad oltranza del capo nei suoi eccessi eticamente dubbi per un uomo di governo e dai suoi innumerevoli processi, persino oltre la decenza ed ogni ragionevole intelligenza, in un confronto tanto deprimente da avere aperto la strada di una fuga della politica per arrivare non all’anti-politica, come spesso erroneamente, a mio avviso, si definisce il fenomeno, ma all’a-politica, cioè alla negazione del diritto di essere rappresentati e di rappresentare in favore di un neo-tribalismo agora-mediatico dove contano più la suggestione e  l’orientamento delle opinioni che la capacità di far sintesi dei bisogni sociali e progetto.  

Proiettandoci così nella nostra regione all’approssimarsi del voto, certo se cambiano alcuni parametri sulla base di varianti locali – il partito-proprietario diviene il partito cameriere ed al maggiore partito di sinistra, seppur centripeta, si sostituisce la feudale immagine di un partito-regione governato da baroni – la sostanza di un ragionamento sull’immediato futuro della competizione elettorale, anche alla luce dei risultati delle politiche che per la prima volta hanno visto la regione omologarsi ai dati nazionale, dovrebbe suscitare serie domande ad un partito che ora più che mai necessita di un progetto che aiuti a superare quella immagine della gestione tout-court culminata nel paradigma rimborsopoli, facendogli ritrovare natura politica e respiro programmatico innegabilmente persi in filiere e relazioni corte.

Ciò che forse non è emerso durante le primarie, dove al confronto comune di candidati impegnati a far sintesi su un programma condiviso di salvezza e rilancio della regione, pur richiesto dal sottoscritto, è prevalsa una logica distorta di conta ed addendi il cui frutto è probabilmente percepito dalla società più come sintomo di un partito impegnato in epocali guerre intestine, che come il momento di una presa d’atto che qualcosa è cambiato in una società finora considerata statica nell’espressione dei consensi. 

Serve recuperare credibilità, a cominciare da liste immacolate, vero antidoto al grillismo opportunista e trasformista di servi finora sodali al sistema ed avventurieri d’ogni risma e grado mutai in Spartaco, ma soprattutto nell’affermazione hic et nunc di un forte progetto sociale antitetico a destre berlusconiane & affini incapaci di un progetto oltre l’indicazione di malgoverni altrui a cui esse hanno pur contribuito, alle forze di un confuso calderone civico-ribellista che scimmiotta Grillo, agli opportunisti gattopardici o ai salvatori della patria pronti alla calata, un progetto forte riassunto in un programma che sia in grado di raccontare il sociale nel sociale di Basilicata, per dare risposte chiare ed oneste ad una società che sta scoppiando di bisogno e di mancanza di speranza.

Abbiamo cioè bisogno di riconnettere ora la parola centrosinistra ad un progetto spendibile in questa società, un progetto senza ambiguità e percepito senza secondi fini, un progetto che voli alto anche in questa ristrettezza di mezzi a disposizione, un progetto che racconti una Basilicata diversa da quella finora conosciuta, fatta del bisogno dei suoi giovani e delle sue donne di poter emergere e raccontarsi, un progetto che per essere credibile necessita però di interpreti in grado di presentarsi come il nuovo, che era già qui tra noi, ma che nessuno ha ancora visto, il nuovo che suggella un patto di fiducia con il nostro popolo.  E sarà quel nuovo che allontanerà i fantasmi pericolosi che aleggiano in regione.

Miko Somma.