qualche riflessione sul centro storico di potenza e non solo…

Il centro storico di Potenza nella prospettiva di un nuovo programma per la città

Comprendere le ragioni della crisi di Potenza, equivale forse ad intuirne la soluzione che, sebbene sia altra cosa dalla volontà effettiva di perseguirla, è già un primo passo nella direzione giusta, ma può una città cresciuta disordinatamente, con il mattone ed il metro cubo come strumento di regolazione, salvarsi dal declino senza salvare il suo centro storico?

Il centro storico di una città, lungi dall’essere solo la sua parte più antica, è soprattutto un luogo di riconoscimento di una identità collettiva, il processo emotivo cioè del sentirsi parte integrante di una comunità, processo che richiede un luogo fisico, il centro storico appunto, e degli attori protagonisti, i cittadini, e mentre i secondi possono sopravvivere senza il primo, il primo non sopravvive senza i secondi.

Un centro storico ha così necessità di essere vissuto, abitato, riconosciuto, identificato, e se in una città l’urbanistica cui ha insegnato essere le funzioni a determinare l’approccio emotivo dei cittadini verso un luogo, quale sia la funzione di un centro storico appare evidente essere il “luogo del riconoscimento del se nel noi”, non potendo più per ovvie ragioni di spazio e morfologia determinare ampie funzioni produttive in senso stretto.

Il centro storico di Potenza, più che privato dei suoi cittadini, appare oggi privato di quella funzione di riconoscimento dell’appartenere ad una comunità che vi si incontra, sentendolo “luogo deputato”, ed è forse per tale ragione, che si aggiunge ovviamente ad una serie di ragioni peraltro note ed ampiamente dibattute, che oggi la sua crisi appare quasi irreversibile, nascendo la sua crisi commerciale ed urbanistica forse più da questa carenza di sentimento che da altri fattori.

La città di Potenza già negli anni seguenti al terremoto comincia un precipitoso e disordinato percorso di allungamento e rarefazione dei suoi quartieri che perdono connessione al centro storico per la mancanza di “cerniere urbanistiche”, punti di snodo di una funzione urbana, finendo per trasformarsi ciascuno in un piccolo abitato, spesso peraltro sconnesso persino dai quartieri limitrofi, in un processo tipico delle grandi realtà metropolitane ed il cui elemento più visibile è quella “vita di quartiere” che tende a riprodurre i luoghi di aggregazione in spazi chiusi, bar, palestre, oratori, circoli, spesso mancando questi stessi quartieri per sciatteria urbanistica di luoghi all’aperto in grado di catalizzare significativamente il senso di appartenenza a quella comunità più stretta che è il quartiere residenziale di più vecchia edificazione (casi di rione verderuolo, rione risorgimento, rione lucania, etc).

Ma evidentemente nella nostra città alcune linee di sviluppo edilizio hanno creato vere e proprie “insulae” urbanistiche del tutto sconnesse dal nucleo cittadino, e che, lungi dall’essere definibili quartieri, paiono assumere più le sembianze di dormitori dove la stessa identità dell’appartenere alla comunità diviene eterea, impalpabile, persino assente, consumandosi le relazioni dei suoi abitanti più nei luoghi di lavoro che nella fisicità relazionale con gli altri residenti nel quartiere (macchia romana, macchia giocoli, poggio tre galli, malvaccaro, per alcuni versi bucaletto). Ed in questo caso stiamo parlando di circa 12000 abitanti di questa città.

Discorso a parte meritano poi le contrade, nella quasi unicità di una città che conta circa 17000 residenti “fuori dalla mura della città”, una realtà dove al dato storico-culturale della vecchia contrada agricola autosufficiente, ma non avulsa dalla città, si è aggiunto il dato residenziale di molte famiglie che si sono trasferite in ville e piccole palazzine sorte nel nulla in zone fino a pochi anni prima del tutto di uso agricolo e prive di qualsiasi riferimento comunitario.

In poche parole la città di Potenza si è rarefatta, perdendo nel tempo ogni contatto con il centro storico sia nelle funzioni amministrative e commerciali che in esso vi risiedevano e che in numero sempre più massiccio e per molteplici fattori si sono traferite altrove, sia come luogo di incontro, in un processo collettivo di dis-identificazione che in parte è legato a tendenze socio-antropologiche generali, in parte a questioni più strettamente locali che riguardano la scorretta programmazione urbanistica con la quale si sono governati i processi edilizi più che le funzioni di indirizzo degli stessi in una visione urbanistica.

Appare così più conseguenza di questa scorretta programmazione la crisi di funzione che anticipa e determina la crisi commerciale ed abitativa del centro storico, piuttosto che essere legata ad altri fattori epifenomenici quali la creazione di una ztl “critica” o l’abbandono del centro storico da parte degli uffici pubblici (fenomeno questo legato a contesti normativi specifici che obbligano ad una serie di parametri quali un certo numero di parcheggi disponibili, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la maggiore facilità di accesso, etc etc).

Scorretta programmazione urbanistica, ma anche scorretta programmazione della veicolarità del sistema dei trasporti, una certa tendenza alla “vetrinistica” dell’evento culturale scelto come funzione di elezione del centro storico che ne ha imbalsamato la fruizione dello stesso come salotto buono e non come luogo popolare, e molte altre cause (mercato degli affitti e delle compravendite) hanno determinato una crisi quasi terminale in un centro storico che è la stessa morfologia della città a volere che ritorni ad avere una sua funzione specifica di raccordo tra i quartieri, raccordo che ovviamente se poco può esserlo materialmente, molto invece può diventarlo in un’ottica di ripensamento globale delle sue funzioni, a partire dalla considerazione che è ciò che non trova spazio nelle dinamiche sociali e produttive dei nuovo quartieri a dover essere oggi riallocato ed esaltato come motivo per un ritorno dei cittadini potentini nel centro storico.

Ciò ovviamente richiede uno sforzo organizzativo che prima di tutto intervenga sulla funzione primaria del centro storico, l’aggregazione della comunità, definendo obiettivi concreti e perseguibili in accordo alla stessa funzione individuata, senza seguire le facili scorciatoie populiste di un improbabile ritorno degli uffici in centro, o della riapertura al traffico privato e del ritorno degli uffici pubblici, ma concentrandosi su ciò che serve perché il centro storico non solo ridiventi cuore pulsante della città come punto di relazioni e scambio sociale tra i cittadini, come luogo di riconoscimento della memoria collettiva condivisa, e di conseguenza vivo a livello commerciale, culturale e di intrattenimento e svago, ma individuando nuove funzioni di cerniera sociale, culturale, economica ed urbanistica da perseguire in una ottica non conservazionista, ma dinamica rispetto al resto della città da cui il centro stesso non può essere avulso.

Così nel mentre occorre ripensare tutta la città, per il centro storico occorre trovare nuove funzioni di aggregazione e di offerta culturale, non dimenticando che sono queste identificate come valore attrattivo che “fanno” l’offerta commerciale e produttiva prima ancora che le attività in quanto tali, attività esistenti che necessitano in primo luogo di caratterizzare l’offerta perché il cittadino scelga di comprare beni introvabili altrove che nel centro storico, attività nuove che vanno incoraggiate nell’allocarsi nel centro storico, e per entrambe rendersi coprotagoniste di una nuova stagione di partecipazione e condivisione delle scelte tra amministrazione e realtà economiche attraverso tavoli permanenti.

Funzioni che ovviamente non possono essere singole azioni a favorire, ma piuttosto un complesso organico di misure tra loro bilanciate a favorire con una scontistica appropriata sui tributi comunali un ritorno di residenzialità, specialmente giovanile e studentesca (sconti a valere sulla tasi), una caratterizzazione artigianale e commerciale di qualità (sconti sui tributi per i rifiuti), un mercato alimentare diffuso per le derrate biologiche e di qualità (sconti sui tributi per i rifiuti), una politica concertata sulla cultura e sullo spettacolo in grado di caratterizzare la programmazione come “evento continuo fatto di piccoli eventi artistici e culturali” e sulla diffusione dei saperi popolari, un arredamento urbano imperniato sulla funzione didattica e partecipativa del verde pubblico e dello sport, l’apertura di una pista ciclabile e di una nuova superficie a verde pubblico nella zona della torre guevara e più in generale una serie di interventi concreti ed a basso impatto di bilancio a valere sui seguenti assi da sviluppare come programma per il centro storico e sui quali torneremo nei dettagli:

  1. Trasporti e parcheggi

  2. Verde pubblico e sport

  3. Università e saperi

  4. Cultura ed intrattenimento

  5. Commercio ed attività produttive

  6. Servizi

  7. Uffici pubblici

  8. Residenzialità

  9. Turismo

  10. Grandi interventi urbanistici

Occorre così sia trovare nuove e non riproducibili funzioni, sia rivalutare l’unicità delle esistenti, aprendo una nuova stagione per il centro cittadino e trasformandolo da salotto buono, ma vuoto, in un luogo che riesca a farsi carico di un passato da trasferire nel futuro di una città che cambia.

Miko Somma.