Comunicato stampa

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Il fatto politico che può salvare una regione

Era più di un anno fa, esattamente il 6 giugno, quando in un comunicato lanciai una proposta, allora caduta nel vuoto spinto di una regione che affogava in rimborsopoli, quella del referendum consultivo sull’aumento delle estrazioni in Basilicata, aumento a più riprese ventilato e forse poco preso in giusta considerazione dalla nostra classe politica, nonostante qualche Cassandra, quale il sottoscritto, che a più riprese da anni avvisava di un momento che oggi pare concretizzarsi nella riforma del titolo V e nel contesto legislativo, ampiamente anticipato da decretazioni del governo Monti, che seguirà a breve a regolare una materia in cui la Regione sarà del tutto spossessata da competenze.

Ora è da chiarire che è la gerarchia delle fonti legislative, accordate ad una riforma costituzionale del contesto di materie delegate prima alle regioni, che, per motivi ovvi a tutti, pone le leggi nazionali su di un gradino più alto di quelle regionali, imponendole come strumento legislativo di riferimento, in un già ridotto contesto di potestà dove alla Regione, scontandosi la mancanza di strumenti di pianificazione del territorio atti a “sollevare” porzioni dello stesso da determinati utilizzi, non rimaneva che rispondere Si o No a singole richieste (istanze) assegnate a compagnie in virtù di un regime concessorio del tutto avulso dalla partecipazione locale, ciò valendo a dire che a riforma del titolo V concretizzatasi nulla o quasi nulla sarà più possibile per opporsi ad una più che probabile invasione di trivelle ed infrastrutture relative alla ricerca e sfruttamento degli idrocarburi.

E dal momento che prima della fine di ottobre 2014 il processo di riforma costituzionale non potrà dirsi concluso (art 138 della costituzione, comma 1) e che la stessa probabilità di sottoporlo al referendum confermativo potrebbe inficiarsi nei numeri a sostegno della riforma stessa in seconda lettura (comma 4), stante l’impossibilità di procedere con norme regionali ostative che sarebbero impugnate presso la Corte Costituzionale (vedi i casi Moratoria e Patto di Stabilità), nel constatare che molto difficilmente ci sarà alcun parlamentare lucano che potrà o vorrà “caricarsi” del problema, tentando o delle mediazioni impossibili o un suicidio politico personale, è ora e qui che occorre muoversi per erigere una barriera, a cominciare dal formarsi di “fatti” politici in grado di opporsi ad un processo legislativo che rischia di essere omicidiario per il futuro di una delle regioni d’Italia.

E quando si parla di fatti politici, sono fatti politici sia il manifestarsi di una opposizione popolare che fu già dei fatti di Scanzano e che occorre tenere di gran conto, ponendosene però la evidente necessità a riforma e regime legislativo compiuto, sia un referendum consultivo in cui si chieda ai cittadini lucani di esprimersi con un si od un no alla semplice domanda, se siano o meno d’accordo con aumenti delle estrazioni, sia in volumi estratti che in territori coinvolti dalle estrazioni rispetto agli accordi già firmati di Val d’Agri e tempa Rossa, referendum questo che si porrebbe come preventivo rispetto ad ogni uso di un territorio non concertato con le popolazioni e tale da essere posto come la causale di ogni possibile ricorso giuridico e giudiziario in sede nazionale o comunitaria.

Tecnicamente non esiste nella nostra Regione e nel suo ordinamento statutario e legislativo, la figura giuridica del referendum consultivo, e, se si accettasse l’idea del “fatto politico” insito in un esito dello stesso referendum in linea con un sentimento ormai generale della popolazione lucana di essere stati spremuti e sfruttati nell’affare petrolio, la sua veloce introduzione nell’ordinamento regionale potrebbe affidarsi o a una legge di istituzione su iniziativa della Giunta Regionale, procedimento questo in grado di bypassare sia il calendario delle proposte di legge giacenti, o, riconosciuta l’urgenza del deliberare, a un procedimento di urgenza richiesto a norma di regolamento dai consiglieri regionali, stralciando la norma dal processo di rinnovo dello statuto regionale per accelerare i tempi.

Si porrebbero moti esempi nei vari ordinamenti regionali di quale forma tale istituto giuridico potrebbe presentare, permettendomi di suggerire per la facilità di indizione ed il controllo consiliare dell’istanza stessa, quello della regione Molise alla L.R. 35/75, e ricordando che tale istituto, riconosciuto anche dalla nostra Costituzione, pur se nello specifico delle unioni tra comuni e regioni, fu indetto nel 1989, con una legge costituzionale che, in occasione delle elezioni europee, consentì di votare il referendum consultivo sul rafforzamento politico delle istituzioni comunitarie. Una figura giuridica cioè nient’affatto sconosciuta al nostro ordinamento e del tutto lecita e consentita.

Istituirlo e procedere all’indizione del referendum richiederebbe poche settimane, potendosi stabilire in tempo utile così quel “fatto” che richiede l’unità dei lucani e di tutte le forze politiche per concretizzarsi in un generale No ad ogni ipotesi di aumento delle estrazioni che, forte di quella larga partecipazione che è ormai sia nella logica del sentimento e della ragione dei lucani sugli idrocarburi, che nella forza di persuasione e mobilitazione che i partiti hanno ancora nella società lucana, se riescono a saldarsi al sentimento ed alla ragione comune, e non al calcolo o a ben altro, quel “fatto” che è l’unico scoglio per infrangere l’onda montante di un concerto orchestrato da anni sulle risorse del sottosuolo lucano che oggi arriva tristemente alla sua fase finale.

Ciò mancando, il sottoscritto si vedrebbe costretto all’inizio di una massiccia e generale raccolta firme a petizione europea contro il vandalico tentativo di distruggere una regione ed un popolo, finalizzando agli idrocarburi i destini di entrambi.

Miko Somma, Partito Democratico, già fondatore di un comitatino.