Comunicato stampa

ieri non mi è stato possibile pubblicarlo sul blog, a causa di problemi manutentivi sul server che hanno impedito l’accesso per qualche ora…inviato comunque alla stampa, posso solo ora pubblicarlo…e magari avrete fatto in tempo a leggerlo sui giornali…

questo comunicato non è stato inviato al sito istituzionale basilicatanet

Una regione che deve cominciare a far tesoro delle sue povertà

Il paradosso di salvezza relativa delle regione da aumenti estrattivi che sono in nuce nell’art. 38, nella riforma del titolo V e nella strategia energetica nazionale che ne è la matrice causale, è probabilmente nel prezzo del greggio, sceso ormai a livelli tali da non essere forse più conveniente avviare processi di sistema, troppo vicino al cosiddetto break even che le compagnie fissano intorno ai 45 dollari/barile, ma sufficiente ancora a garantire che lì dove si estrae o dove le autorizzazioni sono in essere, si continui a farlo, compensando con le quantità estratta il minore introito.

Ciò ovviamente non significa aumenti estrattivi immediati nella Val d’Agri, ma probabilmente la tendenza a fare in modo che quanto al memorandum in tema di aumenti, i 26.000 barili/giorno, diventi presto realtà dopo una stagione in cui lo stesso sembrava dimenticato tra decreti attuativi e la nuova contestata disciplina.

Ora che il prezzo del greggio sia sceso a livelli inferiori ai 60 dollari a barile per il prezzo di riferimento del wti (il greggio americano) e del brent (il greggio del mare del nord) abbastanza evidentemente è frutto sia della crisi che innesca minori consumi, quindi maggiore disponibilità, quindi minore prezzo, sia di strategie di produzione da parte dei paesi opec che non possono permettersi di produrre meno per sostenere un prezzo che dipende sempre meno dalle loro riserve e sul quale minori sono quindi le prospettive di controllo dello stesso, nonché dalla sempre maggiore abbondanza di idrocarburi da scisto di produzione americana, che probabilmente in questo momento storico sono il volano di una guerra di logoramento rispetto alla Russia di Putin ed alle sue nuove mire imperiali. Ma tutto ciò, come rileva l’articolo della Nuova, qualcosa pur significa per le casse della regione Basilicata, dove l’apporto delle royalties costituisce un punto nodale della gestione finanziaria dell’ente che ne risente in termini di minori disponibilità finanziarie, ancorchè bloccate dai vincoli del patto di stabilità:

Questo naturalmente letto nella quotidianità significa che i quasi 170 milioni di euro del 2012 – diventa molto divertente ricordare che fino a poco prima l’allora presidente De Filippo si scherniva dietro 50-60 milioni che in parte il sottoscritto ha evidentemente fatto “lievitare” con la sua penna e quattro calcoli-  diventano cifre meno rilevanti prospetticamente i per bilanci regionali, ma soprattutto per le partite finanziarie ed assistenziali che da queste poi dipendono, forestazione, vie blu, copes ed ancora università e sanità dove sostanziano la tenuta dei L.E.A. altrimenti poco gestibili. Si obietterà che nelle pieghe del patto di stabilità ciò non costituisce problema e che a minori entrate ciò che si decurterebbe realmente è la quota ad oggi accantonata come riserva, ma ciò in tutta evidenza significa minori gettito accantonato da destinare all’investimento in caso i vincoli si allentino.

E naturalmente questo impone una doverosa riflessione sulla stabilità delle risorse finanziarie regionali, che, come la variabilità intervenuta sul prezzo del petrolio insegna, rischiano di esser dipendenti da fattori di rischio non controllabili in loco e così mutevoli fino al punto di non costituire più partite affidabili di bilancio, almeno fino al momento in cui continuerà la loro immissione nel bilancio corrente e non, come auspicabile, nella spesa per investimenti strutturali. In poche parole se ci crede di potere continuare a fornire assistenza a circa 4.000 operai forestali perché in qualche modo possano poi accedere ai “benefici” della disoccupazione, occorre tener di conto che tale operazione potrebbe risultare variabile di anno in anno e non ottenere più i risultati sperati – ed ovviamente anche il consenso elettorale derivante – esattamente come su ogni altra partita finanziata dalle royalties dirette.

Ciò che si palesa così come evidente è la caduta del modello sociale fondato sulle royalties come “cassa”, una pratica scellerata economicamente e, seppur comprensibile nei suoi ruoli di “paracadute sociale”, fuorviante rispetto ad ogni idea di sviluppo reale del comparto economico locale, nella evidenza di un fallimento epocale e di estraniamento dalla realtà di classi dirigenti nate 20 anni fa sulla base di un modello politico del tutto crollato sia di fronte alla crisi, sia soprattutto rispetto al fiato cortissimo delle politiche reali di sviluppo, incapaci di fare sistema del territorio nella valorizzazione delle potenzialità, piuttosto riducendosi ad un modello esportativo affidato a pochi attori economici, sostanzialmente fiat ed eni, la prima entrata in crisi ed avendovi trascinato l’indotto locale, la seconda per sua natura poco occupazionale ed i cui numeri reali ancora oggi sono oggetto di campagne di propaganda a giorni alterni, che essenzialmente lascia al territorio le sole royalties come segno di una sua presenza operativa.

In poche parole, aver “royaltizzato” l’economia regionale ha di fatto sviato le risorse verso un sistema baronale e parcellizzato di spesa delle stesse senza operazioni di sistema, impedendosi ciò che risorse da considerarsi in guisa di straordinarietà avrebbero pur dovuto spingere a pensare e tentare di realizzare, un progetto regione di ampio respiro e novità in grado di rendere la marginalità geografica e produttiva come attrattore dei processi innovativi che in tutta Europa si giocano oggi proprio sulle regioni più svantaggiate, partendo dalla rivalutazione del loro isolamento come elemento di “differenza” che fa la “differenza”, e non solo in termini turistici, ma nel senso di un più ampio settore produttivo legato al territorio ed a sue specificità altrove introvabili, il “terroir” a volerne fare una traslazione dal mondo vitivinicolo.

Trovare, rivalutare, imporre quel terroir sarà compito di ben altre classi dirigenti in grado di comprendere che ogni euro di royalties investito in assistenza a fini elettorali sottrae esponenzialmente decine di euro al settore produttivo di una regione che deve cominciare a far tesoro delle sue povertà, mentre auspicabile sarebbe che lo stato cominci a considerare il petrolio lucano non più materia energetica, ma riserva strategica di prodotti di sintesi di un paese che ancora ha una grande impresa manifatturiera. E dietro le firme che abbiamo raccolto e presentato e che ancora raccoglieremo e presenteremo non c’è solo protesta, ma la richiesta di cambiamento di paradigma produttivo, in Basilicata come nel resto del Paese.

Miko Somma.