Comunicato stampa

questo comunicato non è stato inviato al sito istituzionale basilicatanet

Fuffa o becchime per allocchi

L’aria di festa paesana sorta intorno all’approvazione in legge di stabilità 2015 dell’emendamento 553 sembra la felicità del condannato all’impiccagione perché alla ruvida corda di canapa si sia deciso di sostituire l’eleganza di un cordino di seta, non derivando da questa approvazione alcuna miglioria del testo approvato della legge 164/2014 di conversione del decreto 133/2014, noto come “sbloccaitalia”, segnatamente a quell’art. 38, semmai verificandosi un curioso fenomeno di interessata presa in giro della gente lucana che al lettore più attento non dovrebbe affatto sfuggire, mentre continua una prassi artatamente confusa del governo di scrivere leggi illeggibili (ciò attenendo a culture della legislazione ormai giunte ai minimi storici) approvate da un parlamento succube di “pratiche del decreto compiuto”.

E se il presidente Pittella esulta nel suo renzianesimo provinciale e con lui tutta una convertita corte di “stolti” che sembrano omaggiare più una interessata filiera di opportunità personali e di cordata che si celano dietro l’atteggiamento più che supino al governo nazionale, che una cultura dell’interesse reale del territorio – ormai persino dimentichi di autonoma capacità di lettura legislativa – personalmente quest’aria di festa pare del tutto fuori luogo ed a tratti imbarazzante per subalternità, una subalternità che è ormai considerazione quotidiana dei lucani comuni, quelli non “legati” a quelle stesse filiere.

Il dato è che l’intervenuta modifica che si sostituisce all’art. 38 bis della legge 164/2014 che converte il decreto 133/2014, quindi il testo del novello 38/1-bis. “Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell’adozione del piano, i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima dell’entrata in vigore della presente disposizione.» che sostituisce il testo “Il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  con  proprio decreto,  sentito  il  Ministro  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio e del mare, predispone un piano delle  aree  in  cui  sono consentite le attività di cui al comma 1.”, se forse appare più “costituzionale” in una percezione che non dovrebbe essere interesse della Regione Basilicata, quanto del Governo, di fatto non cambia la sostanza di quanto disposto nella interezza del combinato dell’art. 38 e dei precedenti, la decisione finale sulle aree ad interesse per la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio nel sottosuolo di idrocarburi (comma 1 art. 38 legge 164/2014) non spetta alla regione, ma ad una generica intesa di una conferenza di servizi, dove la parte lucana (supposta portatrice degli interessi territoriali) si limita alla sola presidenza della giunta regionale, dovendosi accontentare di mera rappresentanza per i contributi di ANCI, UPI ed UNCEM.

E la cosa non finisce certo qui, dovendosi “incassare” anche l’ulteriore “goal” che porterebbe al 5 a 0 la partita (per il Governo, non certo per la Basilicata) dei termini perentori all’intesa posti dall’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, che fissa 150 giorni per l’intesa dove si presume assenso (di fatto esistendo diktat e non alcuna intesa ove si è obbligati a dire si), 30 per obbedire agli “ordini” del Governo che avoca a sé in caso contrario la decisione, ulteriori 60 perché quest’ultimo dica infine di si ad un piano delle aree elaborato con decreto ministeriale (quindi fuori dal Parlamento) e da approvarsi non in stretta relazione con le regioni interessate, ma nel complesso della conferenza e quindi della sua generalità di temi, spingendo così all’angolo la nostra scarsa demografia, nella caduta di interesse generale allo stesso piano di aree vocate alle estrazioni che, proprio a leggere la Strategia Energetica Nazionale e le sue previsioni di aumenti sino al 15% del fabbisogno energetico nazionale della quota estratta nell’Appennino Meridionale, lascia ben pochi dubbi su quale sia in terraferma il bacino più interessato.

Ciliegina finale che porta infine ad un risultato tennistico è poi la regolazione dei titoli presentati nelle more di approvazione del piano delle aree che viene demandato alla normativa vigente prima della modifica, quindi allo stesso art. 38 nella sua globalità ed al comma 1/bis così come formulato nella sua approvazione precedente alla novellazione intervenuta, in un “pastrocchio” legislativo la cui funzione si presta anche alla presentazione di titoli che finirebbero per essere approvati fuori dallo stesso piano, non essendo più vigente la normativa antecedente il 38 stesso e dovendosi per principio generale legiferare in Parlamento per la regolazione dei rapporti sorti durante la “vacatio” in oggetto, mentre rimanedo integro il testo che conferisce entro 180 giorni la titolarità della istanza di titolo concessorio, come al comma 7 dell’art. 38, di fatto si bypasserebbe ogni regolazione con un effetto far-west.

E tutto ciò accade in un contesto non affatto modificato per ciò che concerne i “bocconi amari” del 38 e precedenti, in tema di esproprio, di vincolo di uso, di varianti urbanistiche e via discorrendo, semmai dovendosi rilevare che l’unica norma che poteva salvaguardare la regione da ulteriori estrazioni fuori dalla “bufala” del dover regolare le attuali autorizzate e non ancora attive (Tempa Rossa ed il limite di raggiungimento dell’estratto alla intesa per la Val d’Agri, cosa per la quale, ad accordi firmati da anni, non si comprenderebbe allora perché legiferare in modo tanto permissivo e favorevole alle compagnie da costituire di fatto una liberalizzazione) altro non era che il recepimento dell’odg approvato alla Camera, con parere positivo del Governo, che limitava a 154.000 barili/giorno la quota massima di estratto, ovviamente traducendo quella cifra espressa nella giuridica formulazione del “secondo le intese già raggiunte ed operanti” da inserirsi nella Legge di Stabilità, cosa dalla quale il Governo si è ben guardato, poiché avrebbe fissato un limite invalicabile che evidentemente non si vuole affatto.

Questa la realtà che ruota intorno a quell’articoletto così scarno nel suo peggiorare forse la situazione, che da noi però è stato inteso, malinteso e fuorviato per esigenze altre dagli interessi del territorio a non voler sopportare ulteriori aumenti di quote produttive, sia nelle zone già oggetto di estrazioni per gli accordi, sia in tutte le altre “a rischio”, quasi tutta la regione, a voler considerare anche le varianti di estensione dei titoli concessori per le infrastrutture a sostegno.

Cosa ci sia quindi da inneggiare rimane un mistero, mentre invariata è una necessità, che la Regione non aspetti gli ulteriori 60 giorni concessi dal 553 per opporsi, ma lo faccia da subito prima al 38 nel suo complesso, poi al 553 nel particolare, avendo nel frattempo il gruppo di cui mi onoro di far parte stamane presentato e consegnato al Presidente del Consiglio Regionale quasi 3000 firme alle oltre 11.200 già presentate di sostegno alla petizione popolare che abbiamo lanciato nella prima decade di novembre, e per la quale finora oltre 14.000 cittadini hanno apposto la loro firma che è una forte richiesta politica al Presidente della Regione di fermare le bocce della sua partita persa che però non ha alcun diritto di perdere per tutti noi lucani.

Si opponga ed eviti quindi, insieme ai consorziati di non abili alla lettura che sembrano sostenerlo, di spandere ulteriormente fuffa o becchime per allocchi.

Miko Somma, partito democratico.