comunicato stampa del comitato

  La Lucania non è in vendita! 

Il titolo del convegno organizzato dal Comitato No Oil Lucania lo scorso 22 gennaio a Potenza, “La vertenza lucana: questa regione non si vende!!!” conteneva già in nuce una considerazione spesso trascurata: in questa regione sin troppi sono i tentativi di penetrazione di multinazionali del settore energetico, delle acque e del trattamento dei rifiuti per non pensare ad un tentativo di indirizzo delle politiche regionali finalizzato alla concessione alle stesse multinazionali di un placet decisionale quasi assoluto sulle destinazioni del nostro territorio, territorio che verrebbe così ad essere espropriato alla libera disponibilità della popolazione secondo quei principi di utilizzo razionale e compatibile all’ambiente, alla salute umana ed animale, alle vocazioni, all’economia, alla democrazia stessa. 

Non appaia questo allarme frutto di fantapolitica romanzesca o di un eccesso di pessimismo. L’allarme c’è ed è drammaticamente reale ed a dimostrarlo, mentre la politica locale discute più o meno ipocritamente di royalties e benefici sul costo dei carburanti – dopotutto siamo già in campagna elettorale e promesse ed auto-attribuzioni di meriti abbondano esattamente come il riso sulla bocca degli sciocchi – ci sono continue notizie, ben percepibili ai lettori più attenti della realtà e dei giornali, non solo di continui ed invadenti permessi di ricerca di idrocarburi che interessano oltre i due terzi del territorio regionale e che, come spesso abbiamo denunciato nei nostri comunicati stampa e dalle pagine del nostro blog, influenzano qualsiasi destinazione altra del territorio che non sia la servitù al sistema stesso degli idrocarburi, ma da qualche tempo di perenni richieste ai comuni di autorizzazioni per la realizzazione di impianti di varia tipologia, ma tutti in qualche modo collegati al mondo della produzione energetica. 

Come giudicare altrimenti le svariate domande per la realizzazione di centrali a bio-massa ben oltre le stesse potenze che pure le leggi indicano per siti di questo genere e che ottengono avvalli a volte ammantati di silenzi-assensi, altre volte esplicitamente concessi, dalle competenti autorità regionali, se non alla luce di una delibera della giunta regionale del novembre 2005 che equipara il CDR (Combustibile Da Rifiuti, cioè la frazione secca dei rifiuti solidi urbani) alla legna ecologica, rendendo quindi i rifiuti stessi bruciabili in una centrale a bio-massa e di fatto consentendo ad inceneritori veri e propri di travestirsi in apparentemente innocue centrali a bio-massa? 

Come giudicare altrimenti le domande per la realizzazione di centinaia di pale eoliche in questa regione, domande attualmente solo “congelate” da una moratoria sull’eolico che lungi dall’aver concesso il tempo per la redazione di un piano energetico regionale che ancora non c’è – e di cui qualcuno dovrebbe pure prendersi una qualche responsabilità! – arriverà prima o poi alla sua fine senza aver posto alcun limite formale e sostanziale al proliferare dell’eolico industriale “selvaggio” i cui effetti sono visibili ormai a chiunque, se non alla luce di un processo produttivo volto più all’accaparramento dei cip 6 (percentuali delle bollette che dall’inizio degli anni ’90 gli italiani pagano per lo sviluppo delle energie rinnovabili e che puntualmente finiscono dove non dovrebbero, vedi sviluppo di processi di co-generazione della combustione di idrocarburi o ricerca nucleare), che alla produzione di una energia pulita che trova ragione d’essere solo nell’utilizzo strettamente locale dell’energia stessa, vista la poca trasportabilità via elettrodotto della stessa? 

Come giudicare gli inediti progetti di stoccaggio sotterraneo di metano proveniente dal gasdotto del Caucaso nei pozzi dismessi della Val Basento, se non alla luce di una concessione di servitù energetica totalizzante degli stessi territori? O come giudicare voci sempre più insistenti di allocazione del sito unico di stoccaggio di scorie nucleari e di una centrale nucleare stessa in ciò che avrebbe dovuto essere il Parco Regionale dei Calanchi, se non alla luce di una “inconsistenza” programmatica e di una “mancanza” di visione strategica di lungo termine sul destino della regione da parte della politica stessa – voglio essere prudente nell’uso delle parole! – che, piuttosto che individuare e contrastare destini imposti da logiche sempre lontane dai nostri territori e dalle esigenze della popolazione, preferisce arrotolarsi autoreferenzialmente in una sopravvivenza del giorno per giorno per ciò che attiene alla maggioranza di governo ed in uno sterile e querulo chiacchiericcio senza progetto per ciò che attiene l’opposizione? E come giudicare altrimenti le proposte sempre ben accolte in regione di realizzazione di discariche per rifiuti tossici, speciali, nocivi, rifiuti da sistema industriale, insomma, non prodotti dall’affannata industria locale, e che invece provengono da un intero sistema paese incapace o che non vuol risolvere affatto, per via degli alti costi che comporta e di una certa attitudine politica alla rimozione – vedi il caso Napoli! – il problema delle scorie di interi comparti produttivi, se non alla luce dell’accettazione acritica di dinamiche industriali fatte passare come ineludibili da certo pensiero unico confindustriale che pare determinare la politica nazionale molto più di quanto non dovrebbe invece fare il voto popolare, e che la politica locale subisce ed accetta con spirito servile di gregariato alle decisioni di segreterie politiche e salotti buoni? 

E potremmo continuare con la svendita continua delle risorse e della stessa sovranità regionale che si consuma con le acque minerali nel Vulture o con il ricatto occupazionale costante del sistema FIAT e dell’annesso termo-distruttore Fenice, con la finanziarizzazione delle acque pubbliche in società di capitali che nessun regola o patto contenuta nel codice civile e commerciale impedisce possano finire ai privati ed al sistema di produzione di dividendi che lega un consiglio di amministrazione ai suoi soci, pena l’allontanamento degli stessi organi, con la “poca avvedutezza” di operazioni turistiche come Marinagri e simili eco-mostri vacanzieri d’elité e di massa e via discorrendo in un’onda lunga di cattiva programmazione che d’ora in avanti non mancheremo di denunciare come la “vertenza lucana”, con ciò intendendosi il mercimonio integrale di una regione che merita invece ben altre idee e ben altra partecipazione che quelle che troppo spesso ha prefigurato certa politica lobbystica che ha posto questioni di interesse nazionale sul petrolio lucano, con ciò indicando un percorso senza uscita nel labirinto della disinformazione e del silenzio che “deve” avvolgere questa vicenda, e di certa politica locale che, individuando falsi e fallimentari modelli di sviluppo alimentati da prebende di contributi distribuiti a pioggia, non ha mancato mai, nel ribadire beffardamente una destinazione di hub energetico di questa regione mai discussa con la popolazione, di offendere la stessa con la definizione di una Basilicata che è “una bella donna che però non si sa vendere”. 

E’ anche per questo che abbiamo detto, diciamo e diremo sempre forte e chiaro nei nostri convegni ed in ogni momento che la Lucania non è in vendita! 

Miko Somma,portavoce del Comitato No Oil Lucania