Com. stampa Comunità Lucana-Movimento No Oil verso il partito della Comunità Lucana

questo comunicato non è stato inviato al sito istituzionale di basilicatanet, visto quanto già da noi espresso circa l’opera di confusione che puntualmente viene messa in atto o per imperizia (e ci può stare visti i criteri) o per cosciente manipolazione bulgara (cosa molto più probabile) delle affermazioni dei comunicati, il cui senso non andrebbe distorto, ma semmai solo adeguato alle esigenze di spazio concessogli in ciò che dovrebbe essere una sorta di rassegna dei comunicati inviati

tale attività riprenderà solo a seguito delle scuse ufficiali del sito basilicatanet

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Pac, agricoltura lucana e la casta “illuminata” e poco luminosa.

  

Viviamo una crisi economica del tutto intrinseca al capitalismo finanziario – o liberismo globalizzante –  che palesa tutte le sue contraddizioni di sistema economico fondato sulla delocalizzazione dei rapporti produttivi verso l’immaterialità del rapporto tra domanda ed offerta a creazione del prezzo, intendendo con questo il parametro di incontro tra le due componenti classiche dell’economia di mercato, sempre più spostato quest’ultimo dal soddisfacimento della domanda attraverso l’offerta alla determinazione di un prezzo, e così di un valore, a priori e fuori dal contesto produttivo, cioè nelle fluttuazioni di borsa.

 

 

Applicato all’agricoltura ciò vale a dire che la domanda di una data merce, es. il grano, non forma più il parametro prezzo dello stesso in rapporto alla sua abbondanza o meno sul mercato, ma il suo prezzo dipenderà dall’altalena dei titoli delle società che ne trattano l’immissione sul mercato, altalena spesso più frutto di manovre sui titoli che di reali condizioni operative delle stesse società, creandosi un vero e proprio salto nella determinazione del prezzo dal sito del classico rapporto produttore-commerciante al più immateriale scambio azionario nella borsa di Chicago, tanto per rimanere nell’esempio, ed è così chiaro che ogni variazione in negativo dello stesso si ripercuote sull’intera catena distributiva in partite di giro di mancati profitti che è così l’ultimo anello della catena, il produttore, a dover compensare con un aumento delle produzioni e delle rese, quindi con sovra-sfruttamento dei campi e necessità di una sempre più invasiva concimazione, e con la precarizzazione dei rapporti di lavoro subordinati, con ovvi effetti depauperanti sulla forza lavoro.

  

A ciò si aggiunge il cappio della necessità di finanziamenti sempre più onerosi per sostenere costi fissi ed indebitamento da investimento, in un circolo vizioso che porta alla chiusura delle azienda agricole ed al fenomeno dell’accaparramento delle singole unità agricole da parte di gruppi che nei fatti stanno ormai ricostituendo fenomeni di latifondo.

  

Non allontaniamoci nelle analisi e troveremo il quadro di una regione dove l’elemento produttivo a più stretta vocazionalità territoriale, l’agricoltura, langue in una condizione di marginalità sempre più grave che, nonostante le tante chiacchiere sulle eccellenze, porta dritti alla morte dell’agricoltura lucana così continuando quelle condizioni generali di mercato che proviamo a riassumere in una domanda – ma i lucani quanto mangiano di lucano?

  

La domanda non è oziosamente sciovinista, come pur potrebbe apparire nella condizione della grande distribuzione che ormai la fa da padrona come fornitore di alimenti alla popolazione lucana e che certo nei suoi scaffali pone merci agricole poco rispondenti alla territorialità delle produzioni. In poche parole si troveranno sugli scaffali delle merci producibili in regione, ma spesso prodotte lì dove tutta una serie di condizioni si realizzano nella convenienza della grande distribuzione ad acquisire determinate merci e non altre (prezzo, standardizzazione della produzione, extra-stagionalità, trasporti, lavorazione, e via discorrendo), e non necessariamente prodotti lucani pur nell’ovvietà di quelle filiere più corte che altri vedono ormai come soluzione di sistema alla crisi dell’agricoltura, l’investimento nel locale come fonte primaria di approvvigionamento di derrate agricole.

  

Storceranno il naso alcuni per cui il libero mercato e le leggi della concorrenza fanno declamare che è colpa degli agricoltori lucani non riuscire a produrre a prezzi e condizioni tali da rendersi appetibili, e si dovranno operare di conseguenza selezioni darwiniane tra gli stessi, puntando su produzioni di qualità e dimenticando tutto il resto della produzione per salvare il comparto agricolo regionale, ma riteniamo che simili visioni abbiano fatto il loro tempo e che altre considerazioni debbano prendere sopravvento.

  

E’ da molto tempo che riteniamo giunto il tempo di creare il mercato generale lucano, il terminale dove grossisti e dettaglianti possano acquistare le merci agricole ivi condotte direttamente dai produttori od attraverso trasporti consortili locali, in un sistema di filiera corta controllata dal pubblico per creare quel mercato di “favore” alle merci locali che, se inviso ai liberal, sarebbe invece il toccasana per agricoltori e settori occupazionali relativi, il cui maggiore impiego lenirebbe i disagi di una disoccupazione indotta dal mercato lasciato nelle mani di chi stabilendo prezzi capziosi interviene a gamba tesa sul lavoro, un mercato selvatico e che tanto nuoce al ciclo economico locale dell’agricoltura.

  

Certo, si osserverà che la PAC concede contribuzioni proprio in virtù di quei principi concorrenziali che “dovrebbero” fare stimolo alla libera circolazione delle merci e alla competitività, ma qualche decennio di contribuzioni “leggere” ci danno modo di concludere che tali denari sono stati inutili, e forse dannosi, se i criteri di fondo dei nostri PSR rimangono gli stessi che finora hanno prodotto un’economia agricola incapace di reggersi da sola.

  

Meglio sarebbe rinunciarci e procedere ad un ciclo locale che punti prima di tutto al soddisfacimento di domanda interna sia alla regione, che alle zone limitrofe, attraverso quelle mirate politiche di incentivo alle filiere corte in grado di saltare i passaggi intermedi, formando così dei prezzi in grado di rinforzare sia la redditività aziendale per la produzione di merci generaliste, incoraggiandone la maggiore qualità in rapporto ad marketing ambientale di incontaminatezza assunta a canone di statuto di una regione in grado ancora di salvarsi dal deserto conformista, e così l’occupazione relativa, sia il migliore approccio  sanitario ed ambientale delle stesse filiere, puntando poi su eccedenze trasformate in eccellenze per i mercati più lontani e redditizi, che per la quasi totalità dei produttori rimangono comunque il miraggio.

  

Ma a Sant’Arcangelo al convegno sulla PAC certo non si è parlato di sovranità alimentare, ma nell’uso provinciale di anglismi da casta “illuminata” e poco luminosa, s’è discusso di internazionalizzazione, di competitività, di libero mercato, sottintendendo al consenso che finora si è creato proprio con l’uso dei fondi U.E. per l’agricoltura nella nostra regione.

  

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana-Movimento No Oil