Comunicato stampa di Comunità Lucana

questa nota stampa non è stato inviata al sito istituzionale di basilicatanet, visto quanto già da noi espresso circa l’opera di confusione che puntualmente viene messa in atto o per imperizia (e ci può stare visti i criteri) o per cosciente manipolazione bulgara (cosa molto più probabile) delle affermazioni dei comunicati, il cui senso non andrebbe distorto, ma semmai solo adeguato alle esigenze di spazio concessogli in ciò che dovrebbe essere una sorta di rassegna dei comunicati inviati

tale attività riprenderà solo a seguito delle scuse ufficiali del sito basilicatanet

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Non si giochi sul disagio mentale e sulla non autosufficienza.

 

La conoscenza del diritto e dei suoi principi è certo materia da giuristi, giudici, avvocati, ma non ultimo dei legislatori, fossero anche del legislatori regionali. Capita così che all’udire consiglieri regionali ed assessori esterni, proporre come una risoluzione della penosa questione del Don Uva di Potenza – questione ardua da ricostruirsi qui, ma che vede una società pugliese, titolare di un affidamento della Regione Basilicata sui servizi psichiatrici, in una crisi amministrativa dalle penose conseguenze nella corresponsione dei salari agli occupati della sede potentina – una impropria mallevazione in base a cui tentare di versare direttamente ai dipendenti gli arretrati dei pagamenti dovuti, trattenendoli da ciò che alla società la Regione è tenuta a versare sulla scorta dell’affidamento, si rabbrividisca non solo per l’ingenuità della proposta, ma per l’imperizia stessa nel proporre ciò che espressamente è negato dai principi del diritto, principi che pure ai legislatori regionali non dovrebbero essere sconosciuti.

 

La materia delle obbligazioni (Codice Civile) stabilisce infatti che il pagamento di una prestazione da vincolo contrattuale – quale è appunto il servizio erogato da un soggetto sulla base d’un affidamento – è dovuta sempre e solo al soggetto interessato dall’obbligazione al fare, a meno che disposizioni ad hoc d’autorità fallimentare non stabiliscano che il credito maturato sia ceduto a creditori di prelazione, quale appunto il caso dei lavoratori del Don Uva, titolari a loro volta di un credito maturato sulla base di una obbligazione sorta esclusivamente tra loro stessi e la società che gestisce il servizio.

 

In tali casi, essendo le norme del Codice Civile equiparate alle leggi ordinarie e di un grado gerarchico superiore rispetto alle potestà legislative concesse ad una regione, al Consiglio Regionale si parla del sesso degli angeli senza conoscere Ermafrodito, e si propongono assurde soluzioni tecniche di sicura bocciatura da parte della Consulta, dalle sicure conseguenze in materia di processo civile e senza una soluzione affidabile alle legittime richieste dei lavoratori di essere tutelati dalla propria regione, dante causa dell’affidamento di un servizio assistenziale a terzi, anziché espletato in proprio.

 

Ma se una dichiarazione di fallimento della società pronunciata del Tribunale di Foggia, sulla quale pur si sono uditi pronunciamenti di un impegno del Presidente della Regione ad intervenire sul giudice, interventi irrituali e non consentiti dagli stessi principi del diritto, avvierebbe la revoca dell’affidamento del servizio alla società da parte della Regione Basilicata, con obbligo per il commissario liquidatore di provvedere al pagamento dei debiti sui quali insiste un diritto di prelazione sui crediti maturati dalla società, od una dichiarazione di amministrazione controllata aprirebbe vie del tutto nuove alla gestione del servizio stesso e così forse dei problemi sacrosanti dei lavoratori, il problema rimane nella gravità, chi cioè prenderebbe in carico il servizio di cura di soggetti che non possono essere abbandonati a se stessi neppure un giorno – parliamo di disagio psichiatrico e non autosufficienza – nel caso la società non fosse più in grado, direttamente o per amministrazione controllata, di continuare il servizio?

 

Ciò vale a dire che la Regione Basilicata, oltre al problema occupazionale che una liquidazione od una amministrazione controllata comporta (la riduzione di posti di lavoro si dà come pratica consolidata in questi casi), dovrebbe a breve essere in grado o di gestire i servizi attraverso il suo sistema sanitario (recenti decretazioni impediscono la gestione di società in house), con ciò sovraccaricando il sistema stesso, o procedere ad un nuovo affidamento a società privata, soluzione questa che potrebbe essere nelle intenzioni di qualcuno, e dal momento che a data odierna il servizio affidato al Don Uva costa 15 milioni di euro annui, chissà che nell’emergenza i costi dell’affidamento non possano aumentare?

 

Così mentre si cercano soluzioni bizzarre, i lavoratori rimangono con i loro problemi ed a loro forse si potrebbe ancora chiedere pazienza oltre il consentito di non abbandonare i pazienti, ma sia il disagio psichiatrico che la lungodegenza non attendono che qualcuno giochi a fare il legislatore o l’assessore.

 Miko Somma, segretario regionale di Comunità Lucana