il debito

avevo promesso due giorni fa, contestualmente alla pubblicazione di una tabella comparativa dui debiti pubblici europei, che saremmo ritornati sull’argomento debito…bene, mantengo la promessa, pur precisando che la trattazione di un simile complesso argomento è cosa ardua nella necessaria semplificazione delle cose, per cui mi avvarrò di alcune tabulazioni in uso sulla rete per rendere spero più visibili e percebili gli argomenti stessi…

cominciamo con il dire che il “debito pubblico” è il debito dello stato nei confronti di altri soggetti economici nazionali o esteri che hanno sottoscritto un credito allo stato acquistando obbligazioni o titoli di stato (BOT, BTP, CCT, CTZ, etc) destinate a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario statale (quindi anche coprire l’eventuale deficit pubblico nel bilancio dello stato) ed è pari al valore nominale di tutte le passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici), quindi escluso il debito delle amministrazioni locali, e costituito da biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni (esclusi gli strumenti finanziari derivati) e prestiti…

il debito contratto con soggetti economici esteri è il debito estero, quello contratto con soggetti economici interni allo stesso stato è il debito interno e di norma entrambi sono in misura variabile parte del debito pubblico di uno stato, trattandosi comunque di obbligazioni a vario titolo emesse dallo stato verso soggetti terzi che prestano denaro contro la restituzione della somma prestata più un interesse corrisposto alla scadenza del titolo…

la presenza di un debito impone, oltre alla sua copertura finanziaria nei tempi e modalità di scadenza prestabilite dai titoli stessi compresi gli interessi, di tenerlo sotto controllo per non cadere nel rischio di insolvenza sovrana o fallimento (default) dello stesso, o stampando cartamoneta nel rischio però di fenomeni inflattivi o ricorrendo a politiche di risanamento dei conti pubblici all’interno di politiche di bilancio pubbliche, come ad esempio lo sono politiche di rigore, ma nel rischio di bloccare in casi simili l’economia stessa, con pesanti conseguenze sul ritorno di entrate pubbliche costituite proprio dalle tasse pagate da cittadini ed imprese…

ma più che il valore assoluto del debito in se stesso, il suo ammontare insomma, indice della solidità finanziaria ed economica di uno stato è il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo o PIL, cosa della quale si sente molto spesso parlare soprattutto a riguardo dei parametri stabiliti dal famoso trattato di maastricht, in quanto il PIL in questo caso rappresenta un parametro di quanto lo Stato è in grado di risanare il proprio debito pubblico tramite la tassazione o imposizione fiscale da cui sarebbero tratte somme maggiori proprio in virtù della crescita economica…

in genere è proprio il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo che dà origine a quattro possibili scenari in cui uno stato può ritrovarsi e che provo brevemente a spiegare:

I) il tasso di crescita del PIL risulta minore del tasso di interesse dei titoli di stato, quindi l’economia cresce meno di quanto siano pagati gli interessi sul debito stesso, a volte nella presenza di un cosiddetto disavanzo primario (un passivo nel bilancio dello stato al netto degli interessi pagati proprio sul debito) in rapporto al PIL, cioè le uscite (spese) sono maggiori delle entrate (tasse) proprio in rapporto al PIL, ed in questo caso il rapporto tra debito/PIL tende ad aumentare all’infinito…

 

II) il tasso di crescita del PIL risulta maggiore del tasso di interesse dei titoli di Stato, ma c’è ancora un disavanzo primario in rapporto al PIL ed in questo caso il rapporto debito/PIL convergerà in modo decrescente verso un certo valore (detto stato stazionario, cioè uno stato di uguaglianza tra il tasso di crescita dello stock di capitale, il denaro circolante, ed il tasso di crescita della produzione, il PIL, senza alterazioni significative di questi due tassi di crescita, quindi vi è equilibrio), ma solo se, il rapporto debito/PIL iniziale è maggiore dello stato stazionario stesso ed in tal caso, affinché il rapporto debito/PIL decresca, occorre che il PIL cresca a tal punto da rendere la differenza tra PIL e tasso di interesse sul debito sufficientemente grande in un disavanzo primario più piccolo possibile. Se invece il rapporto debito/PIL iniziale è minore dello stato stazionario, il rapporto debito/PIL convergerà sempre verso lo stato stazionario, ma in modo crescente…

III) il tasso di crescita del PIL risulta minore del tasso di interesse dei titoli di Stato, ma si è intervenuti aumentando le tasse, per cui non c’è un disavanzo primario e le entrate sono più delle uscite, così determinandosi la condizione di un rapporto debito/PIL che decresce, ma solo se il rapporto debito/PIL iniziale è minore dello stato stazionari, ed affinché il rapporto debito/PIL decresca, occorre che la differenza tra PIL e tasso di interesse sul debito sia piccola e che le entrate sufficientemente grandi, mentre se il rapporto debito/PIL iniziale è maggiore dello stato stazionario, il rapporto debito/PIL tenderà ad aumentare all’infinito…

IV) il tasso di crescita del PIL risulta maggiore del tasso di interesse dei titoli di Stato e si è intervenuti aumentando le tasse per cui non c’è un disavanzo primario e le entrate sono maggiori delle uscite. In tal caso il rapporto debito/PIL decrescerà rapidamente fino ad annullarsi

questi sono sostanzialmente le quattro condizioni (esistendono però tutta una serie di commistioni tra diversi indici e parametri a cui per brevità non accenneremo ora) sulle quali è possibile mettere in campo delle forme di intervento per riportare il rapporto debito/PIL in condizioni di sicurezza…

nel prossimo articolo affronteremo quindi le soluzioni…