lavoratori a chiamata…

(ANSA) – SANTERAMO IN COLLE (BARI), 14 FEB – Fino a maggio 900 lavoratori della Natuzzi attualmente in Cigs rientreranno al lavoro a rotazione su 400 posti di lavoro “per fare fronte al picco di ordinativi delle ultime fiere e della nuova poltrona Re-vive”. E’ quanto annuncia il gruppo Natuzzi che in una nota conferma l’avvio del piano di ristrutturazione e fornisce alcune indicazioni in merito agli esiti dell’incontro con i sindacati organizzato oggi dalla Regione Puglia.

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chiariamo subito che sono molto contento del rientro dei lavoratori, seppure a rotazione (una volta c’era la cassa integrazione a rotazione, adesso dunque il lavoro), quindi per un periodo di tempo limitato e funzionale ai nuovi ordinativi e nella speranza che altri ordini arrivino nel frattempo e diano un sospiro di sollievo a tutti…

però, oltre la soddisfazione per il lavoro che torna, c’è qualche considerazione generale da fare su un mondo del lavoro che ormai va “cottimizzandosi” alle richieste giornaliere del mercato come modello delle future relazioni occupazionali che, sull’onda della crisi e così continuando, cederanno (e stanno già cedendo) una porzione sempre più ampia di diritti del lavoro legati alla contrattazione nazionale per addivenire a modelli sempre più locali dove la contrattazione ad hoc diviene una norma de facto, regolando nei contesti specifici del territorio (perché gli impianti ed il lavoro stanno nei territori e non sulla luna) la contrattazione di una serie di diritti (e naturalmente di doveri), che al momento non offrono che prospettive al ribasso, di fatto costituendosi una “gabbia occupazionale e salariale” che sulla scorta delle difficoltà specifiche del contesto, riducono l’insieme dei diritti fin qui ottenuti dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali rispetto alle parti datoriali…

e tocca ricordare che non ci sono, se non pochi e sporadici esempi che confermano la regola generale, imprenditori che cedono diritti con facilità o con la supposta generosità che alcuni ingenui credono risiedere in una forma di imprenditoria dal volto umano, giovando così ricordare che ogni diritto dei lavoratori è sempre stato conquistato contro la volontà delle parti datoriali…

ora se esempi simili divengono la regola delle relazioni produttive nel paese, salveremo certamente impianti e plessi produttivi con conseguenze ovviamente positive (tentare di salvare un impianto è di sicuro più facile quando l’impianto stesso è in attività rispetto a quando le porte si sono chiuse e l’attività fermata), ma avvieremo il pericoloso percorso che porta appunto a quella “cottimizzazione” che paventavo nel titolo, funzionalizzando il lavoro al mercato del momento ed alle sue fluttuazioni, e non legandolo invece a quelle istanze di programmazione a medio-lungo periodo che ci si aspetterebbe da intraprese produttive di dimensioni medio-grandi…

ciò vale a dire che se prevale il primo caso e sulla scorta di difficoltà di contesto si contraggono i diritti, questo modello rischia di diventare prassi coerente e corrente in un mondo dove le voci che vorrebbero abolita la contrattazione nazionale, e quindi quella perequazione dei diritti che debbono essere generali in virtù di un dettato di uguaglianza che non è solo costituzionale, si fanno ogni giorno più forti, in una onda lunga nella quale anche il sindacato viene messo quotidianamente in discussione non nel suo agire, ma nella sua stessa essenza di punto di organizzazione della difesa degli interessi dei lavoratori…

e se comincia a divenire prassi, si può stare certi che persino l’incastellatura del diritto sindacale verrà meno, lasciando sempre più i lavoratori in balia delle condizioni locali dove il peso del diritto viene più facilmente contratto dalle specifiche peculiarità del territorio rispetto al contesto produttivo…

il rischio, in altre parole, è una ciudad-juarizzazione (la megalopili disordinata e violenta al confine tra messico e stati uniti) che, esplosa demograficamente e produttivamente sulla scorta dell’accordo “nafta” ha di fatto creato una zona a basso salario e bassa o nulla rivendicazione gius-lavorativa del tutto funzionale alle esigenze produttive delle aziende nord-americane, si imporrebbe come modello produttivo ed organizzativo delle aziende italiane le cui ripercussioni sociali, a partire dalla precarietà del reddito per lavoratori sotto ricatto dell’ordinativo, sarebbero disastrose per un paese come l’italia…

attenzione così a cantar felicità per questi eventi, importanti per carità, ma pericolosi nel contagio che potrebbero diffondere e che di fatto partendo dalla sata di melfi, rischierebbero di diventare il “modello” delle relazioni produttive anche nella nostra regione…

e vorrei che ogni tanto si ricordasse anche la cospicua quantità di denari pubblici che molte aziende hanno percepito negli anni passati come sostegno alla produzione!!!