comunicato stampa

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Comunicato stampa

Il bizantinismo del credersi indispensabili e necessari

Il terremoto elettorale a Potenza necessità prima ancora di ogni commento od analisi dei complimenti al nuovo sindaco, Dario De Luca, che dal giorno del suo insediamento dovrà lottare per costruire una  maggioranza che dagli esiti del primo turno gli è decisamente avversa e su cui, tra quaglie e resilienti, si giocherà un pezzo importante del suo onesto tentativo di tirar fuori dalle secche una città che non merita il suo presente, pur avendolo lentamente costruito nel corso degli ultimi decenni.

Ora l’ovvia retorica del giorno dopo sulla supposta “liberazione” della città dai disonesti, che è la cifra stilistica dei fan meno abbienti culturalmente, si pone però correttamente solo sulla logica del tifo, non certo su un piano di analisi di quanto sarà possibile in concreto al nuovo sindaco operare con i numeri e così misurare il progetto con la realtà, e così dovrebbe far riflettere chi, all’interno di un centrosinistra di cui è evidente il mancato impegno al secondo turno, con comportamenti sufficienti e supponenti ha dato spazio proprio a quella retorica, facendola divenire identitaria nella composizione del voto stesso.

Si è infatti tanto caricata di enfasi istintuale e vendicativa la sfida che De Luca portava all’apparato che i potentini sentivano invece incarnarsi in Petrone, colpevole al più di non esser riuscito a smarcarsi del tutto dal “padrinato” di una scelta sentita come costruita in un salottino dai “potenti” della città, tanto da caricare naturalmente il voto per De Luca anche della rabbia di chi aveva sostenuto al primo turno altri candidati – i suoi voti sostanzialmente raddoppiano – e di disattivare ogni interesse dell’elettorato che pure aveva sostenuto Petrone al primo turno, per convinzione o forse più per le logiche familistiche e di clan legate ai singoli candidati, tanto da farsi identificare quel disinteresse nell’astensionismo.

Il centrosinistra perde così non per aver sbagliato candidato, ma per averlo “abbracciato” dei contenuti e dei significanti partitici, impedendogli di fatto di farlo percepire come libero da condizionamenti – gli incontri pubblici con Boschi e Veltroni a mio avviso hanno nuociuto enormemente – che nello specifico della città di Potenza erano e sono sentiti come fondati sull’arroganza bieca di una classe “padrinale” che si è resa persino incapace di ammettere i propri innegabili errori nella programmazione più ampia della città e delle sue funzioni, delegate ad interessi altri, e nelle pratiche più spicce di una gestione di cosa pubblica affidata al piccolo privilegio da basso impero ed al servilismo trasformato in merito.

E perde perché dilaniato dai conflitti interni tra i padrini, che dal livello regionale e nazionale si traslano su una città che avrebbe meritato altro che essere la cartina di Tornasole di un disagio che di politico ha ben poco, e per la quale si apre ora un periodo di pericolosa e massima incertezza in cui dovrebbe per una volta provare a contare più il buon senso del bene comune nel cercare le soluzioni condivise, che il senso comune dell’interesse di bottega che alberga sempre nel “tanto peggio, tanto meglio” che ieri ha raggiunto il suo climax nel dispiegarsi di un astensionismo sia figlio della noia e dell’indifferenza dei tempi, sia purtroppo del bieco calcolo di alcuni “padroni dei voti” che hanno avuto il loro ruolo in un risultato che proprio difficilmente potremmo accettare come 9.000 potentini che vanno al mare e fanno troppo tardi per riuscire a votare Petrone o i 12.000 che pure avevano votato le liste a suo sostegno e che ieri mancavano all’appello. Errori clamorosi e comportamenti esecrabili non sono dunque mancati.

Il pensiero che allora qualcuno abbia per calcolo speculativo sabotato Petrone, prendendo in ostaggio il futuro e la governabilità della città capoluogo di regione per fini che si misurano su altri livelli, diviene allora qualcosa in più del dietrologo sospetto, naturale dietro ogni sconfitta sentita come vittoria certa, che vi sia complotto, ma se anche per un solo istante pensassimo che dietro questo esito non vi sia anche un ormai desueto bizantinismo da parte di alcuni del credersi indispensabili e necessari a gestir cosa pubblica e partiti, non avremmo compreso che sinistra è soprattutto la capacità di cambiare rotta oltre apparenze e appartenenze declinate a stilema dialettico senza contenuti pratici, senza rese dei conti e con la bussola sempre orientata a nuove idee e prassi in grado di camminare con una società che vuol cambiare. E che cambia anche senza di te, se necessario.

Miko Somma