rimestatori di torbido o di…

 

DI LORENZO: MONITORARE IMPRESE EXTRACOMUNITARIE ORIENTALI
 
24/03/2009 11.42.50
[Basilicata]
                                                                                                                         

 (ACR) – Il vice presidente della III Commissione consiliare permanete, ‘Attività produttive, Territorio, Ambiente’, Pasquale Di Lorenzo, ha chiesto con una lettera indirizzata al Prefetto di Matera ed al presidente della Commissione, Francesco Mollica, “di avviare un monitoraggio ed una attività di controllo sulla situazione relativa alla provincia di Matera sul numero dei lavoratori extracomunitari di origine cinese, sulla esistenza o meno di regolari permessi di soggiorno, nonché sul numero di imprese da essi costituite e sui settori di attività e localizzazione delle attività e quante di esse hanno rapporti di fornitura con imprese italiane”. “Il fenomeno in questione – dichiara Di Lorenzo – sembrerebbe aver assunto una particolare rilevanza, soprattutto, nel materano dove, nel corso degli ultimi mesi, non è inusuale riscontrare un accresciuto numero di presenze cinesi e, specialmente, di opifici da loro condotti che lavorano nell’ambito del settore del salotto. E’ necessario verificare – continua il consigliere del Pdl – gli ambiti di legalità e del rispetto delle normative sulla sicurezza del lavoro, le condizioni in cui vivono queste persone e, soprattutto, se vengono rispettate le normative contrattualistiche in termini di retribuzione e fiscali. In questo particolare momento non si tratta di scatenare una guerra tra poveri a danno di chi ha lasciato il proprio Paese di origine per cercare miglior fortuna, ma nemmeno – sottolinea Di Lorenzo – bisogna pregiudicare ulteriormente la situazione lavorativa dei materani e dei lucani…Il recupero della competitività del settore del salotto e dell’indotto – sostiene Di Lorenzo – non può e non deve essere perseguito utilizzando questi espedienti, da reprimere, viceversa, con fermezza se accertati, individuando e penalizzando chi adotta ogni eventuale forma di raggiro delle norme fiscali e retributive, ricorrendo a forme e condizioni di lavoro che li rendono illegalmente competitivi rispetto alle imprese che, invece, rispettano le norme e la legge italiana. La gravità che può assumere questo fenomeno – dice Di Lorenzo – non può passare inosservata perché, come risulta da recenti studi di settore, tali imprese non solo mandano fuori mercato i lavoratori italiani e lucani con relative imprese di conto lavorazione e dell’indotto, ma esportano, anche, a minor costo, potendosi, oltretutto, fregiare di un marchio prestigioso, quello del Made in Italy. Tutto questo – conclude Di Lorenzo – non accollandosi, in molti casi, i costi derivanti dagli adempimenti normativi e contrattuali che le altre imprese italiane e lucane sostengono diligentemente e non senza sacrifici”.

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siamo dunque alla follia demagogica!!!…se è certo infatti che le ditte cinesi operano nei modi descritti e di fatto “buttano” fuori dal mercato chi in modo legale tenta di operare confrontandosi però con prezzi sempre al ribasso, occorre fare qualche considerazione di più di quelle che fa costui, mostrando la corda del pensiero destrorso

in primis i controlli fiscali, dell’ufficio del lavoro, degli ispettori inps e degli uffici delle asl devono riguardare tutti, e non solo i cinesi, visto che il problema del “nero” riguarda una fetta consistente dell’economia nazionale e regionale che agisce in tal senso storicamente da molto tempo prima che i cinesi arrivassero a turbare ulteriormente i mercati

ma il vero problema non è certo nella produzione che non fa che seguire gli stimoli del mercato, quanto nel mercato stesso…mi spiego…ciò che i cinesi producono a costi inferiori, sfruttando il “nero” in tutti i campi, è richiesto da un mercato schizofrenico che pretende di ridurre di continuo i costi, “esternalizzando” come si dice o comunque scaricando il minor costo proprio sulle ditte produttrici in licenza o in appalto e non volendo mai farsi carico di una minore redditività che a quelle tendenze dovrebbe portare tutti li operatori sul mercato…ma così non è e le ditte di distribuzione o le marche griffate non rinunciano ad utili oparativi da capogiro (un paio di scarpe es. di prada costa sul mercato indiano o cinese dai sei ai nove euro, ma sul mercato europeo si vende a 200) distribuiti attraverso le varie fasi della filiera della distribuzione, ma mai spalmati su chi affronta la produzione vera e propria…e molto spesso, direi quasi sempre, anche costoro non rinunciano agli utili ed alla fine a pagare la minor redditività del comparto produttivo sono le maestranze sottopagate e fatte operare in condizioni igieniche e di sicurezza fuori da ogni norma e naturalmente l’ambiente….i costi dove è possibile tagliare sono infatti solo quelli interni (sicurezza, contribuzioni, sottopaga) e quelli ambientali (rifiuti, impatti non controllati, emissioni libere)…un cane che si morde la coda insomma!!!

prendersela con i soli cinesi non ha senso, di lorenzo, quando le cause vere della crisi del salotto stanno nell’incapacità imprenditoriale del settore locale a confrontarsi con segmenti di mercato alto che richiedono ricerca ed innovazione continue, mentre si è preferito negli anni scorsi navigare tranquilli e senza spese abbassando sempre più il livello dell’offerta fino a rimanere scoperti in un settore dove i cinesi (ma anche altri) erano in grado di mettere sul mercato prodotti si di basso livello qualitativo, ma estermamanete appetibili dai settori “bassi” del mercato stesso, settori estremamante condizionati al consumo continuo di beni da un’assillante e martellante campagna pubblicitaria che da anni invita al “consumare per essere”…ma le industrie cinesi sono anche andate oltre ed in virtù di accordi bilaterali tra italia e cina fatti ad arte solo per le grandi griffes del made in italy (che vendono tra i ricchi cinesi disposti a spendere anche tanto) sono arivvate in italia ed impiantandovi stabilimenti e quindi effettuando in loco la sola fase finale del processo produttivo (assemblaggi, cuciture, etc.) dispongono di un comodo marchio made in italy con cui operare…ovvio che poi producendo in nero, con materiali e lavoratori provenienti dalla cina, in concomitanza con la tendenza imprenditoriale italiana di cui sopra, abbiano di fatto surclassato la produzione italiana

il problema a monte è quindi nel mercato stesso ed in alcune sue regole che la globalizzazione ha esasperato attraverso comportamenti indotti da campagne mediatiche martellanti e nell’incapacità degli imprenditori locali di fare appunto gli “imprenditori” che normalmente rischiano, innovano, ricercano…altro che cinesi!!!

o capiamo questi semplici concetti o la guerra tra poveri che a parole si vuole evitare, nei fatti la si pratica già, rimestando nel torbido o peggio ancora in qualcosa di peggiore…cosa che la destra fa regolarmente incitando sempre qualcuno a prendersela con qualcun altro per qualcosa che è estraneo ad entrambi (o di cui è semmai pedina più o meno consapevole) e che benefici reca solo e soltanto ad altri…del tipo ma chi credete che benefici del piano anti-crisi, la fiat, le banche, le assicurazioni, etc. etc o chi quelle macchine, quelle polizze, quei conti correnti e quei mutui è costretto a farli, per “suggerimenti” dei media o per necessità reali?