buon 2018

è stato un anno forse difficile per tanti, ma la speranza di tempi migliori non dobbiamo mai perderla, semmai coltivarla a partire da ciò che lasciamo perché ciò che arrivi sia migliore

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non date ascolto ai guru…

credo che per rispetto della bimba, non occorra fare clamore, ma sofia de barros, la bimba simbolo della battaglia per l’accesso al metodo stamina ideato dal delinquente davide vannoni, è morta…non date ascolto ai guru, la medicina, pur con i suoi limiti e con i difetti degli uomini che la praticano, è l’unica cura che abbiamo per le malattie

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il sistema solare in immagini – parte X – nettuno ed i suoi satelliti

Nettuno

Nettuno è l’ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare partendo dal Sole. Si tratta del quarto pianeta più grande, considerando il suo diametro, e il terzo se si considera la sua massa. Nettuno ha 17 volte la massa della Terra ed è leggermente più massiccio del suo quasi-gemello Urano, la cui massa è uguale a 15 masse terrestri, ma è meno denso rispetto a Nettuno. Scoperto la sera del 23 settembre 1846 da Johann Gottfried Galle dell’Osservatorio astronomico di Berlino e Heinrich Louis d’Arrest, uno studente di astronomia che lo assisteva, Nettuno fu il primo pianeta ad essere stato trovato tramite calcoli matematici più che attraverso regolari osservazioni: cambiamenti insoliti nell’orbita di Urano indussero gli astronomi a credere che vi fosse, all’esterno, un pianeta sconosciuto che ne perturbava l’orbita. Il pianeta fu scoperto entro appena un grado dal punto previsto. La luna Tritone fu individuata poco dopo, ma nessuno degli altri tredici satelliti naturali di Nettuno fu scoperto prima del XX secolo. Il pianeta è stato visitato da una sola sonda spaziale, la Voyager 2 che transitò vicino ad esso il 25 agosto 1989.

Neptune Full.jpg

Nettuno fotografato dalla Voyager 2, da circa 7 milioni di km, attraverso i filtri arancione e verde.

Nettuno ha una composizione simile a quella di Urano ed entrambi hanno composizioni differenti da quelle dei più grandi pianeti gassosi Giove e Saturno. Per questo sono talvolta classificati in una categoria separata, i cosiddetti “giganti ghiacciati”. L’atmosfera di Nettuno, sebbene simile a quelle sia di Giove che di Saturno essendo composta principalmente da idrogeno ed elio, possiede anche maggiori proporzioni di “ghiacci”, come acqua, ammoniaca e metano, assieme a tracce di idrocarburi e forse azoto. In contrasto, l’interno del pianeta è composto essenzialmente da ghiacci e rocce come il suo simile Urano. Le tracce di metano presenti negli strati più esterni dell’atmosfera contribuiscono a conferire al pianeta il suo colore azzurro intenso.

In this false color image of Neptune, objects that are deep in the atmosphere are blue, while those at higher altitudes are white. The image was taken by Voyager 2's wide-angle camera through an orange filter and two different methane filters.

sopra e sotto due immagini in falsi colori della Voyager 2 ottenuta con l’utilizzo di filtri per il metano che ne rivela la presenza nell’atmosfera del pianeta in corrispondenza dei colori bianco e rosso brillante.

This false color photograph of Neptune was made from Voyager 2 images taken through three filters: blue, green, and a filter that passes light at a wavelength that is absorbed by methane gas.

Nettuno possiede i venti più forti di ogni altro pianeta nel Sistema Solare. Sono state misurate raffiche a velocità superiori ai 2 100 km/h. All’epoca del sorvolo da parte della Voyager 2, nel 1989, l’emisfero sud del pianeta possedeva una Grande Macchia Scura comparabile con la Grande Macchia Rossa di Giove; la temperatura delle nubi più alte di Nettuno era di circa −218 °C, una delle più fredde del Sistema solare, a causa della grande distanza dal Sole. La temperatura al centro del pianeta è di circa 7000 °C, comparabile con la temperatura superficiale del Sole e simile a quella del nucleo di molti altri pianeti conosciuti. Il pianeta possiede inoltre un debole sistema di anelli, scoperto negli anni sessanta ma confermato solo dalla Voyager 2.

Osservazione

Nettuno è invisibile ad occhio nudo dalla Terra; la sua magnitudine apparente, sempre compresa fra la 7,7 e la 8,0, necessita almeno di un binocolo per permettere l’individuazione del pianeta.

Nettuno visto dal telescopio Hubble nel campo del visibile

Visto attraverso un grande telescopio, Nettuno appare come un piccolo disco bluastro dal diametro apparente di 2,2–2,4 secondi d’arco simile nell’aspetto ad Urano. Il colore è dovuto alla presenza di metano nell’atmosfera nettuniana, in ragione del 2%. Si è avuto un netto miglioramento nello studio visuale del pianeta dalla Terra con l’uso del Telescopio spaziale Hubble e dei grandi telescopi a terra con ottiche adattive. Le immagini migliori ottenibili dalla Terra permettono oggi di individuarne le formazioni nuvolose più pronunciate e le regioni polari, più chiare del resto dell’atmosfera. Con strumenti meno precisi è impossibile individuare qualsiasi formazione superficiale del pianeta, ed è preferibile dedicarsi alla ricerca del suo satellite principale, Tritone.

composizione artistica basata sulle foto della Voyager 2 che mostra il pianeta, i suoi anelli ed il suo satellite Tritone

Ad osservazioni nelle frequenze radio, Nettuno appare essere la sorgente di due emissioni: una continuata e piuttosto debole, l’altra irregolare e più energetica, che si ritengono entrambe generate dal campo magnetico rotante del pianeta. Le osservazioni nell’infrarosso esaltano le formazioni nuvolose del pianeta, che brillano luminose sullo sfondo più freddo, e permettono di determinarne agevolmente le forme e le dimensioni.

Evoluzione del pianeta in tre scatti del telescopio Hubble

Fra il 2010 ed il 2011 Nettuno ha completato la sua prima orbita attorno al Sole dal 1846, quando venne scoperto da Johann Galle, ed è stato quindi osservabile in prossimità delle coordinate a cui è stato scoperto.

Storia delle osservazioni

La prima osservazione certa di Nettuno fu effettuata da Galileo Galilei, il 27 dicembre 1612, che disegnò la posizione del pianeta sulle proprie carte astronomiche scambiandolo per una stella fissa. Per una coincidenza fortuita, in quel periodo il moto apparente di Nettuno era eccezionalmente lento, perché proprio quel giorno aveva iniziato a percorrere il ramo retrogrado del suo moto apparente in cielo, e non poteva essere individuato mediante i primitivi strumenti di Galilei. Qualche giorno dopo, il 4 gennaio 1613, si verificò addirittura l’occultazione di Nettuno da parte di Giove: se Galileo avesse continuato ancora per qualche giorno le sue osservazioni, avrebbe dunque osservato la prima occultazione dell’era telescopica. La scoperta del pianeta dovette invece aspettare fino alla metà del XIX secolo, come detto, e già il 10 ottobre 1846, dopo diciassette giorni dalla scoperta di Nettuno, l’astronomo inglese William Lassell scoprì il suo principale satellite Tritone. Alla fine dell’Ottocento fu ipotizzato che presunte irregolarità osservate nel moto di Urano e Nettuno derivassero dalla presenza di un altro pianeta più esterno. Dopo estese campagne di ricerca, Plutone fu scoperto il 18 febbraio 1930 alle coordinate previste dai calcoli di William Henry Pickering e Percival Lowell per il nuovo pianeta. A causa della sua grande distanza le conoscenze su Nettuno rimasero frammentarie almeno fino alla metà del Novecento quando Gerard Kuiper scoprì la sua seconda luna, Nereide. Negli anni settanta e ottanta si accumularono indizi sulla probabile presenza di anelli o archi di anelli. Nel 1981 Harold Reitsema scoprì il suo terzo satellite Larissa. Nell’agosto 1989 le conoscenze ricevettero una enorme spinta in avanti dal sorvolo della prima sonda automatica inviata ad esplorare i dintorni del pianeta, la Voyager II. La sonda individuò importanti dettagli dell’atmosfera del pianeta, confermò l’esistenza di ben cinque anelli ed individuò nuovi satelliti oltre a quelli già scoperti dalla Terra.

Missioni

L’unica sonda spaziale ad aver visitato Nettuno è stata la Voyager 2, nel 1989; con un sorvolo ravvicinato del pianeta la Voyager ha permesso di individuarne le principali formazioni atmosferiche, alcuni anelli e numerosi satelliti. Il 25 agosto 1989 la sonda ha sorvolato il polo nord di Nettuno ad una quota di 4.950 km per poi dirigersi verso Tritone, il satellite maggiore, raggiungendo una distanza minima di circa 40.000 km.

Sono allo studio da parte della NASA due possibili missioni: un orbiter, il cui lancio non è previsto prima del 2040 ed una sonda che effettuerebbe un fly-by del pianeta per proseguire verso due o tre oggetti della fascia di Kuiper, il cui lancio potrebbe avvenire nel 2019.

Parametri orbitali e rotazione

Il pianeta compie una rivoluzione attorno al Sole in circa 164,79 anni. Con una massa pari a circa 17 volte quella terrestre ed una densità media di 1,64 volte quella dell’acqua, Nettuno è il più piccolo e più denso fra i pianeti giganti del sistema solare. Il suo raggio equatoriale, ponendo lo zero altimetrico alla quota in cui la pressione atmosferica vale 1 000 hPa, è di 24.764 km. L’orbita di Nettuno è caratterizzata da un’inclinazione di 1,77° rispetto al piano dell’eclittica e da un’eccentricità di 0,011. In conseguenza di ciò la distanza tra Nettuno ed il Sole varia di 101 milioni di chilometri tra perielio ed afelio, i punti dell’orbita in cui il pianeta è rispettivamente più vicino e più lontano al Sole.

Nettuno compie una rotazione completa intorno al proprio asse in circa 16,11 ore. L’asse è inclinato di 28,32° rispetto al piano orbitale, valore simile all’angolo d’inclinazione dell’asse della Terra (23°) e di Marte (25°). Di conseguenza i tre pianeti sperimentano cambiamenti stagionali simili. Tuttavia il lungo periodo orbitale implica che su Nettuno ciascuna stagione abbia una durata di circa quaranta anni terrestri. Poiché Nettuno non è un corpo solido, la sua atmosfera presenta una rotazione differenziale: le ampie fasce equatoriali ruotano con un periodo di circa 18 ore, superiore al periodo di rotazione del campo magnetico del pianeta che è pari a 16,1 ore; le regioni polari invece completano una rotazione in 12 ore. Nettuno presenta la rotazione differenziale più marcata del sistema solare che origina forti venti longitudinali.

Oggetti transnettuniani

Le nuove scoperte di moltissimi corpi celesti nel sistema solare esterno hanno portato gli astronomi a coniare un nuovo termine, oggetto transnettuniano, che designa qualsiasi oggetto orbitante oltre l’orbita di Nettuno (o comunque formatosi in quella regione).

Il diagramma mostra le risonanze orbitali nella Fascia di Kuiper causate da Nettuno: nelle regioni evidenziate orbitano gli oggetti con una risonanza 2:3 con Nettuno (i plutini), gli oggetti classici della Fascia di Kuiper (i cubewani) e gli oggetti con una risonanza 1:2 con Nettuno (i twotini).

Nettuno ha un impatto profondo sulla regione subito oltre la sua orbita, da 30 UA fino a 55 UA dal Sole e conosciuta come fascia di Kuiper, un anello di piccoli mondi ghiacciati simile alla Fascia principale degli asteroidi, ma molto più vasto. Così come la gravità di Giove domina la Fascia principale, definendone la forma, così la gravità di Nettuno domina completamente la Fascia di Kuiper. Nel corso della storia del Sistema solare, la gravità di Nettuno ha destabilizzato alcune regioni della Fascia, creandovi dei vuoti. La zona compresa tra 40 e 42 UA ne è un esempio.

All’interno di queste regioni vuote esistono tuttavia orbite seguendo le quali alcuni oggetti hanno potuto sopravvivere nei miliardi di anni che hanno portato all’attuale struttura del Sistema solare. Queste orbite presentano fenomeni di risonanza con Nettuno, cioè gli oggetti che le percorrono completano un’orbita intorno al Sole in una precisa frazione del periodo orbitale di Nettuno. Se un corpo completa una propria orbita per ogni due orbite di Nettuno avrà completato metà della sua orbita ogni volta che il pianeta ritorna alla sua posizione iniziale e quindi sarà sempre dall’altra parte rispetto al Sole. La popolazione di oggetti risonanti più numerosa, con più di 200 oggetti noti, presenta una risonanza 2:3 con il pianeta. Tali oggetti, che completano un’orbita per ogni orbita e mezzo di Nettuno, sono stati chiamati plutini dal nome del più grande fra essi, Plutone. Sebbene Plutone attraversi l’orbita di Nettuno regolarmente, la risonanza garantisce che essi non potranno mai collidere. Un altro importante gruppo della Fascia di Kuiper è quello dei twotini, che sono caratterizzati da una risonanza 2:1; ci sono poi oggetti che presentano anche altri rapporti di risonanza, ma non sono molto numerosi. Altri rapporti che sono stati osservati comprendono: 3:4, 3:5, 4:7 e 2:5.

È curioso osservare che a causa dell’alta eccentricità dell’orbita di Plutone, periodicamente Nettuno viene a trovarsi più lontano dal Sole di quest’ultimo, come è accaduto fra il 1979 ed il 1999. Nettuno possiede inoltre un certo numero di asteroidi troiani, che occupano le regioni gravitazionalmente stabili che precedono e seguono il pianeta sulla sua orbita ed identificate come L4 e L5. Gli asteroidi troiani sono spesso descritti anche come oggetti in risonanza 1:1 con Nettuno. Sono notevolmente stabili nelle loro orbite ed è improbabile che siano stati catturati dal pianeta, ma si ritiene piuttosto che si siano formati con esso.

Formazione e migrazione

La formazione dei giganti ghiacciati, Nettuno e Urano, è difficile da spiegare con esattezza. I modelli correnti suggeriscono che la densità di materia delle regioni più esterne del Sistema solare fosse troppo bassa per formare corpi così grandi tramite il metodo tradizionalmente accettato dell’accrezione e sono state avanzate varie ipotesi per spiegare la loro evoluzione. Una è quella secondo cui i giganti ghiacciati non si siano formati tramite l’accrezione del nucleo, ma dalle instabilità dell’originario disco protoplanetario e, in seguito, la loro atmosfera sarebbe stata spazzata via dalle radiazioni di una stella massiccia di classe spettrale O B molto vicina. Un concetto alternativo è quello secondo cui si formarono più vicini al Sole, dove la densità di materia era più elevata, e poi migrarono verso le attuali orbite.

 
Simulazione dei reciproci rapporti tra i pianeti esterni e la Fascia di Kuiper secondo il modello di Nizza: a) Prima della risonanza Giove/Saturno 2:1 b) Spostamento degli oggetti della Cintura di Kuiper nel sistema solare dopo lo slittamento dell’orbita di Nettuno c) Dopo l’espulsione dei corpi della Fascia di Kuiper ad opera di Giove

L’ipotesi della migrazione è favorita dalla sua caratteristica di poter spiegare le attuali risonanze orbitali nella Fascia di Kuiper, in particolare la risonanza 2:5. Come Nettuno migrò verso l’esterno, si scontrò con gli oggetti della proto-fascia di Kuiper, creando nuove risonanze e mandando in caos le altre orbite. Gli oggetti nel disco diffuso si crede che siano stati spinti nelle attuali posizioni da interazioni con le risonanze create dalla migrazione di Nettuno. Il modello detto di Nizza suggerisce che la migrazione di Nettuno nella Fascia di Kuiper potrebbe essere stata provocata dalla formazione di una risonanza 1:2 nelle orbite di Giove e Saturno, che creò una spinta gravitazionale che mandò sia Urano che Nettuno verso orbite più alte causando così il loro spostamento. L’espulsione risultante di oggetti dalla proto-fascia di Kuiper potrebbe anche spiegare l’intenso bombardamento tardivo avvenuto circa 600 milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare e la comparsa degli asteroidi Troiani.

Massa e dimensioni

Con una massa di 1,0243 × 1026 kg Nettuno è un corpo intermedio fra la Terra ed i grandi giganti gassosi: la sua massa è diciassette volte quella della Terra, ma è appena un diciannovesimo di quella di Giove. Il raggio equatoriale del pianeta è di 24.764 km, circa quattro volte maggiore di quello della Terra. Nettuno ed Urano sono spesso considerati come una sottoclasse di giganti, chiamata “giganti ghiacciati”, a causa delle loro dimensioni inferiori e alla più alta concentrazione di sostanze volatili rispetto a Giove e Saturno. Nella ricerca di pianeti extrasolari Nettuno è stato usato come termine di paragone: i pianeti scoperti con una massa simile sono detti infatti “pianeti nettuniani”, così come gli astronomi si riferiscono ai vari “pianeti gioviani”.

Le dimensioni della Terra e di Nettuno a confronto

Struttura interna

La struttura interna di Nettuno ricorda quella di Urano; la sua atmosfera forma circa il 5-10% della massa del pianeta, estendendosi dal 10 al 20% del suo raggio, dove raggiunge pressioni di circa 10 gigapascal. Nelle regioni più profonde sono state trovate concentrazioni crescenti di metano, ammoniaca e acqua.

1. Atmosfera superiore, sommità delle nubi. 2. Atmosfera inferiore, costituita da idrogeno, elio e gas metano. 3. Mantello d’acqua, ammoniaca e metano ghiacciato. 4. Nucleo di roccia e ghiaccio.

Risultato immagine per nettuno nasa

Gradualmente questa regione più calda e oscura condensa in un mantello liquido surriscaldato, dove le temperature raggiungono valori compresi fra i 2 000 K ed i 5 000 K. Il mantello possiede una massa di 10-15 masse terrestri ed è ricco di acqua, ammoniaca, metano ed altre sostanze. Come è solito nelle scienze planetarie, questa mistura è chiamata “ghiacciata”, sebbene sia in realtà un fluido caldo e molto denso. Questo fluido, che possiede un’elevata conducibilità elettrica, è talvolta chiamato “oceano di acqua e ammoniaca”. Alla profondità di 7.000 km, lo scenario potrebbe essere quello in cui il metano si decompone in cristalli di diamante e precipita verso il centro. Il nucleo planetario di Nettuno è composto da ferro, nichel e silicati; i modelli forniscono una massa di circa 1,2 masse terrestri. La pressione del nucleo è di 7 Mbar, milioni di volte superiore a quella della superficie terrestre, e la temperatura potrebbe essere sui 5 400 K.

Schema della struttura interna di Nettuno in maggior dettaglio

Calore interno

Si ritiene che le maggiori variazioni climatiche di Nettuno, comparate con quelle di Urano, siano dovute in parte al suo calore interno più elevato. Sebbene Nettuno sia distante dal Sole una volta e mezzo più di Urano e riceva quindi solo il 40% della quantità di luce, la superficie dei due pianeti è grosso modo uguale. Le regioni più superficiali della troposfera di Nettuno raggiungono la bassa temperatura di −221,4 °C. Alla profondità in cui la pressione atmosferica è pari a 1 bar la temperatura è di −201,15 °C. In profondità nello strato di gas, tuttavia, la temperatura sale costantemente; così come Urano, la sorgente di questo riscaldamento è sconosciuta, ma la discrepanza è maggiore: Urano irradia solo 1,1 volte la quantità di energia che riceve dal Sole, mentre Nettuno ne irradia 2,61 volte tanto, indicando che la sua sorgente interna di calore genera il 161% in più dell’energia ricevuta dal Sole. Nettuno è il pianeta del Sistema solare più lontano dal Sole, ma la sua sorgente interna di energia è sufficiente a causare i venti planetari più veloci visti in tutto il Sistema solare. Sono state suggerite alcune possibili spiegazioni fra le quali il calore radiogenico proveniente dal nucleo del pianeta, la dissociazione del metano in catene di idrocarburi sotto elevate pressioni atmosferiche e i moti convettivi della bassa atmosfera che causano onde di gravità che si dissolvono sopra la tropopausa.

Atmosfera

Ad alta quota, l’atmosfera di Nettuno è formata all’80% da idrogeno ed al 19% da elio, con tracce di metano. Notevoli bande di assorbimento del metano si trovano vicino alla lunghezza d’onda dei 600 nm nella parte rossa ed infrarossa dello spettro. Così come per Urano, quest’assorbimento della luce rossa da parte del metano atmosferico contribuisce a conferire a Nettuno il suo caratteristico colore azzurro intenso, sebbene il colore azzurro differisca dal più tenue acquamarina tipico di Urano. Dato che la quantità di metano contenuta nell’atmosfera di Nettuno è simile a quella di Urano, ci dev’essere qualche altra sostanza non conosciuta che contribuisca in modo determinante a conferire questa tonalità così intensa al pianeta.

Ipotesi di rotazione delle strutture nuvolose sul pianeta 

L’atmosfera di Nettuno è suddivisa in due regioni principali: la bassa troposfera, dove la temperatura decresce con l’altitudine, e la stratosfera, dove la temperatura aumenta con l’altitudine; il confine fra le due, la tropopausa si trova a circa 0,1 bar. La stratosfera dunque è seguita dalla termosfera alla pressione inferiore a 10−4−10−5 µbar. L’atmosfera sfuma gradualmente verso l’esosfera.

Composizione Atmosferica

Idrogeno (H2) 80 ± 3,2%

Elio (He) 19 ± 3,2%

Metano (CH4) 1,5 ± 0,5%

Deuteruro di idrogeno (HD) ~0,019%

Etano (C2H6) ~0,00015%

Ghiacci

Ammoniaca (NH3), Acqua (H2O), Idrosolfuro di ammonio (NH4SH), Metano (CH4)

I modelli suggeriscono che la troposfera di Nettuno sia attraversata da nubi di varia composizione a seconda dell’altitudine. Il livello superiore di nubi si trova a pressioni inferiori a 1 bar dove la temperatura è adatta alla condensazione del metano. Con pressioni fra 1 e 5 bar si crede si formino nubi di ammoniaca e acido solfidrico; oltre i 5 bar di pressione, le nubi potrebbero essere costituite da ammoniaca, solfato d’ammonio ed acqua. Le nubi più profonde di ghiaccio d’acqua potrebbero formarsi a pressioni attorno ai 50 bar, dove la temperatura raggiunge gli 0 °C. Sotto ancora si potrebbero trovare delle nubi di ammoniaca e acido solfidrico.

Foto scattata dalla Voyager 2 – Una scia di nubi d’alta quota (cirri) su Nettuno crea un’ombra sulla superficie di nubi sottostante.

Sono state osservate nubi d’alta quota su Nettuno che formano delle ombre sopra l’opaco manto nuvoloso sottostante. Ci sono anche delle bande di nubi d’alta quota che circondano il pianeta a latitudini costanti; queste bande disposte a circonferenza hanno degli spessori di 50-150 km e si trovano a circa 50-110 km sopra il manto nuvoloso sottostante.

Evoluzione della Grande Macchia Scura durante due rotazioni di Nettuno (36 ore circa). Le nubi chiare si muovono rapidamente. Esse sono composte di metano ghiacciato.

Lo spettro di Nettuno suggerisce che i suoi strati atmosferici inferiori siano nebbiosi a causa della concentrazione di prodotti della fotolisi ultravioletta del metano, come etano e acetilene; l’atmosfera contiene anche tracce di monossido di carbonio e acido cianidrico. La stratosfera del pianeta è più tiepida di quella di Urano a causa dell’elevata concentrazione di idrocarburi.

I due poli del pianeta ripresi dal telescopio Hubble

Per ragioni ancora non conosciute la termosfera planetaria possiede una temperatura insolitamente alta, pari a circa 750 K. Il pianeta è troppo lontano dal Sole perché il calore sia generato dalla radiazione ultravioletta; una possibilità per spiegare il meccanismo di riscaldamento è l’interazione atmosferica fra ioni nel campo magnetico del pianeta. Un’altra possibile causa è data dalle onde di gravità dall’interno che si disperdono nell’atmosfera. La termosfera contiene tracce di diossido di carbonio ed acqua, che potrebbero provenire da sorgenti esterne, come meteoriti e polveri.

Fenomeni meteorologici

Una differenza fra Nettuno e Urano è il livello tipico di attività meteorologica. Quando la sonda spaziale Voyager 2 sorvolò Urano, nel 1986, questo pianeta era visivamente privo di attività atmosferica. In contrasto, Nettuno mostrava notevoli fenomeni climatici durante il sorvolo della sonda, avvenuto nel 1989.

Le nubi compagne e il vortice su Nettuno (Credits: NASA, ESA, and M.H. Wong and J. Tollefson (UC Berkeley)

immagine ripresa dal telescopio Hubble – un punto nero corrispondente ad un vortice

Il tempo meteorologico di Nettuno è caratterizzato da sistemi tempestosi estremamente dinamici, con venti che raggiungono la velocità supersonica di 600 m/s. Più tipicamente, tracciando il movimento delle nubi persistenti, la velocità del vento sembra variare dai 20 m/s in direzione est fino ai 235 m/s in direzione ovest. Sulla cima delle nubi, i venti predominanti variano in velocità dai 400 m/s lungo l’equatore ai 250 m/s sui poli. Molti dei venti di Nettuno si muovono in direzione opposta rispetto alla rotazione del pianeta. Il livello generale dei venti mostra una rotazione prograda alle alte latitudini e retrograda alle basse latitudini; si ritiene che la differenza della direzione dei flussi ventosi sia un effetto superficiale e non dovuto ad alcun processo atmosferico più profondo. A 70° S di latitudine, un getto ad alta velocità viaggia a 300 m s−1. L’abbondanza di metano, etano e acetilene all’equatore di Nettuno è 10–100 volte superiore di quella dei poli; ciò è interpretato come un’evidenza della presenza di fenomeni di risalita all’equatore e di subsidenza verso i poli. Nel 2007 fu scoperto che gli strati superiori della troposfera del polo sud di Nettuno erano di circa 10 °C più tiepidi che nel resto del pianeta, con una media di circa −200 °C. Il differenziale di calore è sufficiente per consentire al gas metano, che in altri punti si gela nell’alta atmosfera del pianeta, di essere espulso verso lo spazio. Il relativo “hot spot” è dovuto all’inclinazione dell’asse di Nettuno, che ha esposto il polo sud al Sole per l’ultimo quarto di anno nettuniano, pari a circa 40 anni terrestri; similmente a quanto avviene nella Terra, l’alternanza delle stagioni farà in modo che il polo esposto al Sole sarà in seguito il polo nord, causando così il riscaldamento e la successiva emissione di metano dall’atmosfera in quest’ultimo polo. A causa del cambiamento stagionale, le bande di nubi dell’emisfero sud di Nettuno sono aumentate in dimensioni e albedo; questo processo fu osservato inizialmente nel 1980 e ci si aspetta che finirà attorno al 2020. Il lungo periodo orbitale di Nettuno causa un alternarsi stagionale in quarant’anni

Tempeste

Nel 1989 fu scoperta dalla sonda Voyager 2 la Grande Macchia Scura, un sistema di tempeste anticiclonico delle dimensioni di 13000 × 6600 km, La tempesta ricordava la Grande Macchia Rossa di Giove; tuttavia, il 2 novembre 1994, il Telescopio Spaziale Hubble non riuscì ad osservare questa macchia scura sul pianeta. Al suo posto, apparve una nuova tempesta simile alla Grande Macchia Scura nell’emisfero nord.

Immagini della Voyager 2 – sopra  La Grande Macchia Scura (al centro), Scooter (la nube bianca in mezzo), e la Piccola Macchia Scura (in basso).

sotto, la Grande Macchia Scura

 

Lo “Scooter” è un’altra tempesta, una nube bianca posta più a sud della Grande Macchia Scura; il suo nome deriva dal fatto che quando fu osservata per la prima volta nel mese precedente al sorvolo della sonda Voyager 2, si muoveva più velocemente della Grande Macchia Scura. Immagini successive rivelarono delle nubi ancora più rapide. La Piccola Macchia Scura è invece una tempesta ciclonica meridionale, la seconda tempesta più potente osservata durante il transito del 1989; inizialmente era completamente scura, ma come la sonda si avvicinò, iniziò a mostrarsi una macchia più chiara, visibile in tutte le immagini ad alta risoluzione.

Immagine in colori veri ripresa dal Voyager 2, che mostra le strutture delle nubi nelle regioni oscure vicino al polo

Si ritiene che le macchie scure di Nettuno siano posizionate nella troposfera ad altezze inferiori rispetto alle nubi più bianche e luminose del pianeta, così appaiono come dei buchi nello strato di nubi sovrastante; dal momento che sono delle strutture stabili che possono persistere per diversi mesi, si crede che possano essere delle strutture a vortice. Spesso nei pressi di queste strutture si trovano delle nubi di metano più brillanti e persistenti, che si formano presumibilmente all’altezza della tropopausa.

Immagine del pianeta in colori elaborati che mostra le differenti strutture di circolazione dei venti

Magnetosfera

Un’altra somiglianza fra Nettuno e Urano risiede nella magnetosfera, con un campo magnetico fortemente inclinato verso l’asse di rotazione di 47° e decentrato di almeno 0,55 raggi (circa 13.500 km) rispetto al nucleo fisico del pianeta. Prima dell’arrivo della sonda Voyager 2 su Nettuno, era stato ipotizzato che la magnetosfera inclinata di Urano fosse il risultato della sua rotazione obliqua; tuttavia, comparando i campi magnetici dei due pianeti, gli scienziati pensano che questa orientazione estrema potrebbe essere caratteristica dei flussi presenti all’interno dei pianeti. Questo campo potrebbe essere generato da convezioni del fluido interno in un involucro sferico sottile di liquido conduttore elettrico (probabilmente composto da ammoniaca, metano e acqua).

Il campo magnetico alla superficie equatoriale di Nettuno è stimato sui 1,42 μT, per un momento magnetico di 2,16 × 1017 Tm³ e possiede una geometria complessa che include componenti non-dipolari, incluso un forte momento quadripolo che potrebbe superare in forza pure quello dipolo. D’altra parte la Terra, Giove e Saturno hanno solo dei momenti di quadripolo relativamente piccoli e i loro campi sono meno inclinati rispetto all’asse polare. Il grande momento di quadripolo di Nettuno potrebbe essere il risultato del disallineamento dal centro del pianeta e dai vincoli geometrici del generatore della dinamo del campo.

Il bow shock di Nettuno, ossia il punto in cui la magnetosfera inizia a rallentare il vento solare, avviene alla distanza di 34,9 volte il raggio del pianeta; la magnetopausa, ossia il punto in cui la pressione della magnetosfera controbilancia il vento solare, si estende alla distanza di 23–26,5 volte il raggio di Nettuno. La coda della magnetosfera si estende all’esterno fino ad almeno 72 volte il raggio del pianeta e probabilmente molto oltre.

Anelli planetari

Risultato immagine per nettuno nasa

immagine del telescopio Hubble che mostra alcuni satelliti e gli archi di anello (la banda nera corrisponde all’occultazione della luce dal pianeta, poi riposizionato graficamente all’interno

Nettuno ha un sistema di anelli planetari tra i più sottili del Sistema solare. Gli anelli potrebbero consistere di particelle legate con silicati o materiali composti da carbonio, che conferisce loro un colore tendente al rossastro. In aggiunta al sottile Anello Adams, a 63.000 km dal centro del pianeta, si trova l’Anello Leverrier, a 53.000 km, ed il suo più vasto e più debole Anello Galle, a 42.000 km. Un’estensione più lontana di quest’ultimo anello è stata chiamata Lassell; è legata al suo bordo più esterno dall’Anello Arago, a 57.000 km.

Gli anelli di Nettuno, visti dalla Voyager 2 nel 1989.

Il primo di questi anelli planetari fu scoperto nel 1968 da un gruppo di ricerca guidato da Edward Guinan, ma si era in seguito pensato che quest’anello potesse essere incompleto. Evidenze che l’anello avrebbe avuto delle interruzioni giunsero durante un’occultazione stellare nel 1984 quando gli anelli oscurarono una stella in immersione ma non in emersione. Immagini della sonda Voyager 2 mostrarono invece che gli anelli di Nettuno erano molteplici. Questi anelli hanno una struttura a gruppi, la cui causa non è ben compresa ma che potrebbe essere dovuta all’interazione gravitazionale con le piccole lune in orbita nei pressi.

Neptune's Rings

Immagine degli anelli in grand’angolo ripresa dalla Voyager 2

L’anello più interno, Adams, contiene cinque archi maggiori chiamati Courage, Liberté, Egalité 1, Egalité 2 e Fraternité. L’esistenza degli archi è stata difficile da spiegare poiché le leggi del moto predirrebbero che gli archi verrebbero dispersi in un anello uniforme in una scala temporale molto breve. Gli astronomi ritengono che gli archi siano rinchiusi entro le loro forme attuali a causa degli effetti gravitazionali di Galatea, una luna posta all’interno dell’anello. Osservazioni condotte dalla Terra annunciate nel 2005 sembravano mostrare che gli anelli di Nettuno siano molto più instabili di quanto in precedenza creduto. Immagini prese con i Telescopi Keck nel 2002 e 2003 mostrano un decadimento considerevole negli anelli quando vengono comparati con le immagini prese dalla Voyager 2. In particolare sembra che l’arco Liberté possa dissolversi entro la fine del XXI secolo.

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sopra – Gli anelli di Nettuno, ripresi dalla Voyager 2. La banda nera al centro dell’immagine è dovuta all’occultazione della luce proveniente dal pianeta, la quale avrebbe soverchiato totalmente la debole luminosità del sistema di anelli
sotto, un anello intrecciato composto da tre o quattro filamenti di polveri che si attorcigliano tra loro
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Satelliti naturali

Nettuno possiede quattordici satelliti naturali conosciuti, il maggiore dei quali è Tritone; gli altri satelliti principali sono Nereide, Proteo e Larissa. Tritone è l’unico satellite di Nettuno a possede forma ellissoidale.

Le falci di Nettuno e Tritone, fotografate dalla Voyager 2 durante il suo allontanamento 

A parte Tritone il satellite più interessante è Nereide, la cui orbita è la più eccentrica dell’intero sistema solare. Fra il luglio ed il settembre 1989 la sonda statunitense Voyager 2 ha individuato sei nuovi satelliti fra i quali spicca Proteo, le cui dimensioni sarebbero quasi sufficienti a conferirgli una forma sferoidale. È il secondo satellite del sistema di Nettuno, pur con una massa pari ad appena lo 0,25% di quella di Tritone.

Una nuova serie di scoperte è stata annunciata nel 2004 e si tratta di satelliti minori e fortemente irregolari. Nel luglio del 2013 Mark Showalter scopre il 14º satellite, denominato S/2004 N 1, da immagini ottenute dal telescopio spaziale Hubble tra il 2004 e il 2009.

Tra le lune con massa planetaria, Tritone è l’unico satellite irregolare, con un’orbita che è retrograda rispetto alla rotazione di Nettuno e inclinata rispetto all’equatore dello stesso, il che sta ad indicare che probabilmente non si è formato con Nettuno ma ne è stato invece catturato gravitazionalmente. Il secondo satellite irregolare più grande del Sistema Solare, la luna di Saturno Febe, ha solo lo 0,03% della massa di Tritone. La cattura di Tritone, verificatasi probabilmente qualche tempo dopo la formazione del sistema satellitare, fu un evento catastrofico per i satelliti originari di Nettuno, le cui orbite subirono perturbazioni in misura tale da farli collidere fino a formare un disco di macerie. Tritone è abbastanza massiccio da aver raggiunto l’equilibrio idrostatico e da riuscire a mantenere una sottile atmosfera capace di formare nubi e foschie.

All’interno di Tritone ci sono sette piccoli satelliti regolari con orbite dirette giacenti in piani vicini al piano equatoriale di Nettuno; qualcuno orbita tra gli anelli di Nettuno. Dei sette satelliti, il più grande è Proteo. Essi si sono formati dal disco di macerie generato dopo la cattura del Tritone e dopo che l’orbita di quest’ultimo era diventata circolare. All’esterno di Tritone, ci sono altri sei satelliti irregolari, tra cui Nereide, con orbite ad alta inclinazione e molto più lontane da Nettuno: tre di essi hanno orbite dirette, mentre quelle degli altri sono retrograde. In particolare, Nereide ha un’orbita insolitamente stretta ed eccentrica per un satellite irregolare; secondo un’ipotesi, una volta era stato un satellite regolare che, alla cattura di Tritone, fu così perturbato da assumere la sua attuale posizione. I due satelliti irregolari più esterni di Nettuno, Psamate e Neso, hanno le orbite più estese di tutti i satelliti naturali scoperti fino ad oggi nel Sistema Solare.

Tritone fu scoperto da William Lassell nel 1846, solo diciassette giorni dopo la scoperta di Nettuno. Nereide fu scoperto da Gerard P. Kuiper nel 1949. La terza luna, successivamente denominata Larissa, fu osservata da Harold J. Reitsema, William B. Hubbard, Larry A. Lebofsky e David J. Tholen il 24 maggio 1981. Gli astronomi stavano osservando l’avvicinamento di una stella a Nettuno, alla ricerca di anelli simili a quelli scoperti intorno a Urano quattro anni prima. In presenza di anelli, la luminosità della stella sarebbe dovuta diminuire leggermente poco prima dell’avvicinarsi del pianeta. La luminosità della stella svanì per parecchi secondi, il che significava che era a causa di una luna piuttosto che di un anello.

Nessun’altra luna fu scoperta fino al flyby di Nettuno da parte di Voyager 2 nel 1989 che, oltre alla già scoperta Larissa, scoprì cinque lune interne: Naiade, Talassa, Despina, Galatea e Proteo. Nel 2001 due indagini che utilizzavano grandi telescopi terrestri scoprirono altre cinque lune esterne, portando il totale a tredici. I cinque satelliti, Alimede, Sao, Psamate, Laomedea, e Neso, furono nuovamente osservati nel 2002 e nel 2003. Inoltre un sesto candidato fu trovato, e in seguito perso, in un’indagine del 2002: potrebbe essersi trattato di un centauro invece di un satellite, sebbene il suo modesto spostamento da Nettuno nel giro di un mese fa pensare che si trattasse proprio di un satellite. Si stimò che avesse un diametro di 33 km e una distanza di circa 25,1 milioni di km (0,168 UA) da Nettuno.

Il 15 luglio 2013 un team di astronomi guidati da Mark Showalter del SETI Institute rivelò alla rivista Sky & Telescope di aver scoperto una quattordicesima luna nelle immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble dal 2004 al 2009. Si ritiene che tale luna, attualmente identificata come S/2004 N 1, abbia un diametro di non più di 16–20 km.

Caratteristiche

Le lune di Nettuno possono essere suddivise in due gruppi: regolari e irregolari. Il primo gruppo comprende le sette lune interne, che seguono orbite circolari dirette giacenti nel piano equatoriale di Nettuno. Il secondo gruppo è costituito da tutte le altre lune, tra cui Tritone. Esse seguono perlopiù orbite eccentriche e inclinate, spesso retrograde e lontano da Nettuno; l’unica eccezione è Tritone, che orbita vicino al pianeta seguendo un’orbita circolare, retrograda e inclinata.

Lune regolari

In ordine di distanza da Nettuno, le lune regolari sono: Naiade, Talassa, Despina, Galatea, Larissa, S/2004 N 1, e Proteo. Naiade, la luna regolare più vicina, è anche la seconda più piccola tra le lune interne (dopo la scoperta di S/2004 N 1), mentre Proteo è la luna regolare più grande (la seconda più grande di Nettuno). Le lune interne sono strettamente associate con gli anelli di Nettuno. I due satelliti più interni, Naiade e Talassa, orbitano tra l’anello Galle e l’anello Le Verrier. Despina potrebbe essere una luna pastore dell’anello Le Verrier, in quanto la sua orbita si trova proprio all’interno di questo anello.

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l’unica immagine di Naiade, scattata dalla Voyager 2 – l’immagine è sfocata per via della lunga esposizione richiesta alla fotocamera e del contemporaneo movimento della sonda

sotto l’unica immagine di Despinascattata dalla Voyager 2 – l’immagine è sfocata per via della lunga esposizione richiesta alla fotocamera e del contemporaneo movimento della sonda

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La luna successiva, Galatea, orbita appena dentro al più importante anello di Nettuno, l’anello Adams. Questo anello è molto stretto, con una larghezza non superiore a 50 km, e ha incorporati cinque archi brillanti. La gravità di Galatea tende a confinare le particelle dell’anello in una regione limitata in direzione radiale, non permettendo così all’anello di allargarsi. Varie risonanze tra le particelle dell’anello e Galatea potrebbero anche avere un ruolo nel mantenimento degli archi.

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una immagine di Proteo, scattata dalla Voyager 2

Solo le due lune regolari maggiori sono state riprese con una risoluzione tale da riuscire a discernere la loro forma e le caratteristiche della superficie. Larissa, circa 200 km di diametro, è allungata. Proteo non è particolarmente allungato, ma neppure del tutto sferico, assomigliando a un poliedro irregolare con diverse facce piane o leggermente concave con diametro da 150 a 250 km, dovute forse a passate esperienze collisionali di Proteo, la cui superficie è fortemente craterizzata, con un certo numero di caratteristiche lineari. Il suo cratere più esteso è Pharos, che ha un diametro maggiore di 150 km. Tutte le lune interne di Nettuno sono oggetti scuri ed i loro spettri indicano che sono costituite da ghiaccio d’acqua contaminata da materiale molto scuro, probabilmente composti organici complessi. Da questo punto di vista, le lune interne nettuniane sono simili alle lune interne di Urano.

Lune irregolari

In ordine di distanza dal pianeta, le lune irregolari sono: Tritone, Nereide, Alimede, Sao, Laomedea, Neso e Psamate, un gruppo che comprende oggetti con orbite sia dirette che retrograde. Le cinque lune più esterne sono simili alle lune irregolari degli altri pianeti giganti; si ritiene che siano state catturate gravitazionalmente da Nettuno, a differenza dei satelliti regolari, che probabilmente si sono formati in situ.

Tritone e Nereide presentano alcune peculiarità. In primo luogo, essi sono le due lune irregolari più grandi nel Sistema Solare, con Tritone che è quasi un ordine di grandezza maggiore di tutte le altre lune irregolari conosciute. In secondo luogo, entrambi hanno un piccolo semi-asse maggiore, quello di Tritone essendo di oltre un ordine di grandezza minore di quelli di tutte le altre lune irregolari. In terzo luogo, entrambi hanno un’eccentricità orbitale insolita: Nereide ha una delle orbite più eccentriche di tutti i satelliti irregolari, e l’orbita di Tritone è un cerchio quasi perfetto. Infine, Nereide ha l’orbita con inclinazione minore di tutti i satelliti irregolari.

Tritone

Tritone segue un’orbita retrograda e quasi circolare. Si ritiene che sia un satellite catturato gravitazionalmente. È la seconda luna del Sistema Solare a possedere un’atmosfera significativa, composta principalmente di azoto con piccole quantità di metano e monossido di carbonio. Parleremo in seguito di questo satellite.

Nereide

Nereide è la terza luna di Nettuno per grandezza. Ha un’orbita diretta e molto eccentrica. Si ritiene che sia stato un satellite regolare, successivamente spostato nella sua orbita attuale dalle interazioni gravitazionali durante la cattura di Tritone. Tracce di ghiaccio d’acqua sono state rilevate spettroscopicamente sulla sua superficie.

Altre lune irregolari

Tra le altre lune irregolari, Sao e Laomedea seguono orbite dirette, mentre Alimede, Psamate e Neso seguono orbite retrograde. Data la somiglianza delle loro orbite, è stato proposto per Neso e Psamate un’origine comune dalla rottura di una luna più grande. Psamate e Neso hanno le orbite più estese di tutti i satelliti naturali scoperti nel Sistema Solare ad oggi. Impiegano 25 anni per orbitare Nettuno a una distanza media di 125 volte quella tra la Terra e la Luna. Nettuno ha la sfera di Hill più estesa nel sistema solare, grazie soprattutto alla sua grande distanza dal Sole; questo gli permette di mantenere il controllo di lune così lontane.

Formazione

La distribuzione della massa delle lune di Nettuno è la più sbilanciata tra quelle dei satelliti degli altri giganti gassosi del Sistema Solare. Una luna, Tritone, contribuisce per quasi tutta la massa del sistema, mentre tutte le altre lune contribuiscono insieme solo per uno 0,3 per cento circa. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che Tritone è stato catturato successivamente alla formazione del sistema satellitare originario di Nettuno, gran parte del quale potrebbe essere stato distrutto durante il processo di cattura.

Durante la fase della cattura, l’orbita fortemente eccentrica di Tritone gettò caos nelle orbite dei satelliti interni originari di Nettuno, facendoli collidere e riducendoli a un disco di macerie. Ciò significa che verosimilmente gli attuali satelliti interni di Nettuno non sono i corpi originari che si formarono insieme ad esso. Solo dopo che l’orbita di Tritone era diventata quasi circolare, alcune macerie poterono accrescere nuovamente nelle lune regolari di oggi. Questa considerevole perturbazione potrebbe essere forse la ragione per cui il sistema satellitare di Nettuno non segue il rapporto di 10.000:1 tra massa del pianeta madre e quella globale di tutte le sue lune verificato nei sistemi satellitari degli altri giganti gassosi. Il meccanismo di cattura di Tritone è stato oggetto di diverse teorie nel corso degli anni, una delle quali ipotizza che Tritone fu catturato in un incontro a tre corpi. In questo scenario, Tritone è il membro superstite di un oggetto binario della fascia di Kuiper scombussolato dal suo incontro con Nettuno.

Tritone

Tritone è il principale satellite naturale di Nettuno, ed uno dei più massicci dell’intero sistema solare, precisamente il settimo, dopo Titano, la Luna e i quattro satelliti medicei di Giove. Tritone è l’unica grande luna che orbita attorno al proprio pianeta con moto retrogrado, ad una distanza media da Nettuno di circa 355.000 km e in un periodo di poco inferiore ai sei giorni. Per la sua orbita retrograda e per la sua composizione, simile a quella di Plutone, si pensa che Tritone non si sia formato nei pressi di Nettuno ma che sia piuttosto un oggetto proveniente dalla Fascia di Kuiper.

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L’emisfero sud di Tritone, ottenuto combinando dodici immagini del pianeta ottenute dalla Voyager 2

La sua superficie è composta in gran parte da azoto ghiacciato, la crosta e il mantello da acqua congelata e il nucleo, che costituisce i due terzi della massa totale, da rocce e metalli. La superficie è relativamente giovane, in quanto è caratterizzato da un’attività geologica particolarmente intensa, con numerosi geyser visibili che eruttano azoto e una tenue atmosfera che ha una pressione di 1/70.000 di quella terrestre. Tritone è stato sorvolato da un’unica sonda spaziale, la Voyager 2, nel 1989; i dati e le immagini inviate a terra hanno permesso di stimarne con precisione i parametri fisici e orbitali, di individuarne le principali formazioni geologiche e di studiarne la tenue atmosfera.

Esplorazione spaziale

La Voyager 2 passò a 40.000 km da Tritone il 25 agosto 1989, mappando la superficie con una risoluzione di 600 metri. I dati raccolti dalla Voyager 2 permisero una stima più accurata del diametro di Tritone, pari 2706 km. Nel 1990, furono effettuate diverse osservazioni dalla Terra di Tritone sfruttando l’occultazione di alcune stelle vicine, che indicarono la presenza di un’atmosfera e una superficie esotica. Le osservazioni suggerirono che l’atmosfera era più densa di quanto indicato dalla Voyager 2.

Gli scienziati della NASA hanno identificato Tritone come un obiettivo primario per future missioni nel sistema solare, proponendo nuove missioni, come quella suggerita nel 2010, la Neptune Orbiter, che tra alcune opzioni proposte sarebbe stata dotata di un veicolo d’atterraggio dedicato allo studio di Tritone, così come fu per la Huygens che atterrò su Titano. Ad oggi, tuttavia, gli sforzi diretti all’esplorazione di Nettuno e Tritone sono stati posticipati e il finanziamento della NASA sulle missioni nel sistema solare esterno è attualmente focalizzata sui sistemi di Giove e Saturno.

Parametri orbitali

Tritone è particolare fra tutti i principali satelliti del sistema solare esterno, a causa della sua orbita retrograda attorno al pianeta. Altri satelliti minori di Giove e Saturno presentano orbite retrograde, ma sono tutti caratterizzati da un diametro inferiore al 10% di quello di Tritone. L’orbita retrograda rende evidente che Tritone non può essersi formato nella stessa regione della nebulosa solare di Nettuno, ma è con tutta probabilità un oggetto della fascia di Kuiper catturato in un secondo momento. Questo potrebbe spiegare anche l’orbita estremamente eccentrica di Nereide, così come la provenienza del calore necessario a fondere l’interno di Tritone e differenziarlo (il calore generato dalle forze di marea risultanti dalla circolarizzazione dell’orbita eccentrica avrebbe potuto mantenere Tritone liquido per circa un miliardo di anni).

L’orbita di Tritone è caratterizzata da due inclinazioni, quella di 30° propria di Nettuno e quella di 157° propria di Tritone stesso rispetto all’orbita del suo pianeta (un’inclinazione superiore a 90° indica un moto retrogrado). L’inclinazione complessiva oscilla tra 127° e 173° e attualmente ha un valore attorno a 130°. Tritone precede Nettuno nella sua orbita, con un periodo di 678 anni terrestri, corrispondenti a 4,1 anni nettuniani.

Tritone è in rotazione sincrona con Nettuno e gli mostra pertanto sempre la stessa faccia; l’equatore è quasi esattamente allineato al piano orbitale. Attualmente l’asse di rotazione di Tritone è inclinato di circa 40° rispetto al piano orbitale di Nettuno, il che comporta che durante il suo periodo di rivoluzione ciascuno dei poli punterà a un certo punto verso il Sole, come fanno anche i poli di Urano. Di conseguenza anche i poli di Tritone saranno alternativamente rivolti al Sole, variando così la loro illuminazione e innescando delle variazioni di tipo stagionale, come osservato.

A causa del moto retrogrado, le forze di marea stanno facendo lentamente decadere l’orbita di Tritone, già assai vicino a Nettuno, e si prevede che entro i prossimi 3,6 miliardi di anni entrerà nel limite di Roche del pianeta, quindi Tritone colliderà con l’atmosfera di Nettuno o andrà a formare un nuovo anello planetario attorno al pianeta. Nettuno, a causa della rotazione sincrona del satellite, rimane fisso nel cielo di Tritone, raggiungendo una dimensione apparente pari a 6º (10 volte la Luna piena vista dalla Terra).

Cattura

Le teorie sulla formazione del sistema solare indicano che i satelliti con moto retrogrado non possono formarsi nella regione della nebulosa solare dove si formano i pianeti principali, quindi Tritone proviene da un’altra regione del sistema solare, e molto probabilmente la sua origine è nella Fascia di Kuiper, un disco di piccoli oggetti ghiacciati che si estende da poco oltre l’orbita di Nettuno fino ad una distanza di 50 UA dal Sole. La Fascia di Kuiper è il luogo d’origine di molte comete a corto periodo e di alcuni oggetti più grandi, come i plutini, di cui Plutone è il prototipo e che sono in risonanza orbitale con Nettuno. Tritone è poco più grande di Plutone e la sua composizione chimica è quasi identica, il che lascia ipotizzare che la loro origine sia comune.

La cattura di Tritone da parte di Nettuno spiegherebbe alcune caratteristiche del sistema nettuniano, come la forte eccentricità orbitale di Nereide, la terza luna per dimensioni di Nettuno, e spiegherebbe anche il basso numero di satelliti naturali del pianeta rispetto agli altri giganti gassosi. Si pensa che l’orbita in origine molto eccentrica di Tritone avrebbe intersecato quelle delle altre più piccole lune, perturbandole gravitazionalmente e disperdendole dalle loro orbite originarie che avevano prima della cattura di Tritone. Durante il periodo post-cattura, l’eccentricità della sua orbita e le interazioni mareali avrebbero mantenuto Tritone allo stato liquido per un miliardo d’anni, come dimostra la differenziazione del suo interno. Successivamente, con la circolarizzazione dell’orbita la fonte di calore interno cessò.

Sono stati proposti due diversi tipi di meccanismi per la cattura di Tritone. Per essere gravitazionalmente catturato da un pianeta, un corpo di passaggio deve perdere energia sufficiente per essere rallentato ad una velocità inferiore a quella di fuga. La prima teoria è che Tritone potrebbe essere stato frenato da una collisione con un altro oggetto, molto probabilmente una luna o proto-luna in orbita attorno a Nettuno, o forse, ipotesi meno probabile, da un oggetto che transitava casualmente nel sistema nettuniano. Una ipotesi più recente e maggiormente accettata dagli astronomi suggerisce che, prima della sua cattura, Tritone avesse un compagno di massa simile al satellite di Plutone, Caronte, con la quale formava un sistema binario. Quando i due corpi si avvicinarono a Nettuno, l’energia orbitale fu trasferita da Tritone al compagno, che sarebbe stato espulso, mentre Tritone rimase legato a Nettuno. Questa ipotesi è supportata da diverse evidenze, come quella che i sistemi binari sono molto comuni tra i grandi oggetti della fascia di Kuiper. La cattura sarebbe stata breve e dolce, salvando Tritone dalla collisione. Eventi come questi potrebbero essere stati molto comuni durante la formazione di Nettuno, o più tardi, quando questi emigrò verso l’esterno del sistema solare.

Caratteristiche fisiche

Tritone è la settima luna e il sedicesimo oggetto per dimensioni del sistema solare, leggermente più grande dei pianeti nani Plutone ed Eris. La sua massa compone il 99,5% di tutta la massa nota in orbita attorno Nettuno, anelli del pianeta e le altre tredici lune conosciute comprese. Ha raggio, densità (2,061 g/cm3), temperatura e composizione chimica simile a quelle di Plutone.

dimensioni comparate tra la Terra, la Luna e Tritone

II dati sulla densità media di Tritone implicano che probabilmente è composto da circa il 30-45% di ghiaccio d’acqua, mentre il resto è materiale roccioso. Come Plutone, il 55% della superficie di Tritone è composta da azoto ghiacciato, con ghiaccio d’acqua in misura compresa tra il 15 e il 35%, più un 10-20% di ghiaccio secco (anidride carbonica ghiacciata). Sono presenti tracce di metano (0,1%) e monossido di carbonio (0,05%). Tritone ha un’albedo notevolmente alta, visto che riflette il 60-95% della luce solare che lo raggiunge. A confronto, la Luna ha un’albedo di solo 11%. Il colore rossastro si pensa derivi dal ghiaccio di metano che viene convertito in tolina sotto il bombardamento delle radiazioni ultraviolette.

Struttura interna

La superficie di Tritone indica che è stata soggetta a continui rimodellamenti nel corso del tempo e di conseguenza si pensa che la sua struttura interna sia differenziata, con un mantello sotto la crosta e un nucleo di roccia (e forse metalli) al suo interno che potrebbe contenere almeno i due terzi della massa complessiva del satellite. Esiste sufficiente roccia all’interno di Tritone per un decadimento radioattivo nel mantello, dove il calore generato potrebbe essere sufficiente a mantenere un oceano di acqua liquida come quello ipotizzato esistere sotto la superficie di Europa. Se presente, l’acqua liquida suggerirebbe la possibilità teorica della presenza della vita.

Superficie

Tutta la conoscenza della superficie di Tritone è stato acquisita con il fly-by della Voyager 2. Il 40% della superficie ripreso dalla sonda ha rivelato creste, depressioni, solchi, cavità, altipiani, pianure ghiacciate e pochi crateri d’impatto. La superficie di Tritone è relativamente piatta, la sua topografia varia al massimo di un chilometro. Recenti analisi sulla densità e distribuzione dei crateri suggeriscono che, in termini geologici, la superficie di Tritone è estremamente giovane, con le diverse regioni che hanno un’età compresa tra 50 e solo circa 6 milioni di anni.

La superficie è solcata da valli e canyon particolarmente estesi, che si intrecciano in maniera disordinata, probabilmente come risultato di un processo ciclico di scioglimento e ricongelamento e dell’attività dei criovulcani. Oltre all’azoto solido, la superficie di Tritone presenta tracce di metano, ghiaccio di monossido di carbonio, ghiaccio d’acqua e ghiaccio secco; l’albedo è quindi particolarmente elevata, e varia localmente fra 0,60 e 0,95.

La temperatura superficiale di Tritone è certamente superiore a 35,6 K, come rivela la presenza di azoto solido in forma beta-cristallina, che subisce una transizione di fase al di sotto di tale temperatura; la pressione di vapore dell’azoto gassoso presente nell’atmosfera del satellite impone un limite massimo pari a circa 41-42 K. La temperatura di Tritone risulta così addirittura inferiore a quella di Plutone, nell’ordine dei 38 K (-235 °C), nonostante il satellite sia ancora geologicamente attivo. Complessivamente, la superficie di Tritone è pari a circa il 4,5% di quella terrestre.

Attività geologica

Tritone risulta, sorprendentemente, geologicamente attivo; la sua superficie è relativamente recente e povera di crateri, e all’epoca del fly-by da parte della Voyager presentava numerosi vulcani ghiacciati e plumes nell’atto di eruttare azoto liquido, polveri o composti del metano nell’atmosfera, formando dei pennacchi alti fino ad 8 km. Tritone è, con la Terra, Io, e Encelado, uno dei pochi corpi del sistema solare dove sono state osservate eruzioni attive di qualche tipo, anche se attività vulcaniche potrebbe essere presente su Venere, Marte, Europa, Titano e Dione.

sopra – Immagine della Voyager 2 che mostra diversi punti scuri nei pressi della calotta polare meridionale, probabilmente vulcani di ghiaccio

sotto – Tuonela Planitia (a sinistra) e Ruach Planitia (al centro), due dei criovulcani di Tritone. La scarsità di crateri è la prova di una lunga attività geologica.

Si ritiene che l’attività geologica di Tritone sia innescata dal riscaldamento stagionale ricevuto dal Sole, a differenza, ad esempio, di quella di Io, che ha origine dalle forze di marea provocate dall’interazione gravitazionale con Giove. Tutti i geyser osservati infatti erano situati tra 50° e 57° S di latitudine, la parte della superficie del Tritone vicino al punto subsolare. Ciò indica che il riscaldamento solare, anche se molto debole vista la grande distanza di Tritone dal Sole, gioca un ruolo fondamentale per le eruzioni dei criovulcani. Si pensa che la superficie di Tritone sia costituita da uno strato trasparente di azoto congelato sovrastante un substrato scuro, che crea una sorta di “effetto serra solido”. La radiazione solare passa attraverso il ghiaccio superficiale, lentamente, riscaldando e vaporizzando l’azoto del sottosuolo fino a quando la pressione del gas aumenta al punto da farlo eruttare in superficie attraversando la crosta. Ogni eruzione di un geyser su Tritone può durare fino a un anno, e il materiale eruttato può essere trascinato creando strisce lunghe fino a 150 km come quelle osservate dalla Voyager. Sull’emisfero meridionale di Tritone sono visibili molte di queste strisce di materiale scuro. Tra il 1977 e il sorvolo ravvicinato della Voyager del 1989 Tritone cambiò il suo colore, da rossastro, simile a quello di Plutone, ad una tonalità molto più chiara, suggerendo che nel decennio trascorso eruzioni di azoto congelato avevano coperto il più antico materiale, di colore appunto rossastro.

Le ombre proiettate verso destra mostrano l’attività di geysers su Tritone

Calotta polare sud

La regione polare meridionale di Tritone è ricoperta da uno strato altamente riflettente di azoto e metano congelati e cosparso di crateri da impatto e geyser. Non si conosce granché delle zone nei pressi del polo nord, in quanto era sul lato in ombra durante il passaggio della Voyager 2. Tuttavia, è possibile che Tritone abbia anche una calotta polare nord.

Le alte pianure trovate sull’emisfero orientale di Tritone, come Cipango Planum, sono quasi certamente il risultato di colate di lava di ghiaccio che hanno coperto il paesaggio più antico. Le pianure sono cosparse di punti neri, come Leviathan Patera, che sono probabilmente le caldere da cui emerge la lava, che si pensa sia costituita da acqua e ammoniaca. Le pianure vicino a bordo orientale di Tritone sono punteggiate da macchie nere, chiamate maculae. Alcune maculae sono semplici macchie scure dai confini diffusi, mentre altre comprendono una macchia scura centrale circondata da un alone bianco dai confini ben marcati. Il diametro delle maculae è mediamente di circa 100 km e larghezza è tra i 20 e i 30 km. Alcuni scienziati speculano che le macule siano fenomeni transitori che avvengono nella calotta polare sud, quando si ritira durante l’estate meridionale.

Terreno a cantalupo

Il terreno a cantalupo, così chiamato perché assomiglia alla buccia di un melone, è un tipo di terreno unico nel sistema solare ed è situato nella regione chiamata Bubembe. Nonostante la scarsità generale di crateri d’impatto si pensa che questa sia la regione più antica di Tritone, dove sono presenti crateri con un diametro di 30–40 km che non sembrano tuttavia causati da impatti meteoritici, in quanto hanno tutti circa lo stesso diametro e sono piuttosto regolari. L’ipotesi più probabile sulla loro formazione chiama in causa il diapirismo, con la risalità di materiale più leggero che attraversa uno strato più denso e antico. Un’ipotesi alternativa è quella delle inondazioni causate da fenomeni di criovulcanismo.

Crateri da impatto

A causa dell’attività geologica in corso che rimodella di continuo la superficie, i crateri da impatto su Tritone sono relativamente rari. Un censimento dei crateri di Tritone ripresi dalla Voyager 2 individua solo 179 crateri che erano senza ombra di dubbio causati da un impatto, rispetto agli 835 osservati sulla luna di Urano Miranda, che ha solo il 3% della superficie di Tritone. Il più grande cratere osservato su Tritone creato da un impatto misura 27 km di diametro ed è stato chiamato Mazomba. I pochi crateri da impatto su Tritone sono quasi tutti concentrati nell’emisfero che va in direzione del moto orbitale, con la maggior parte concentrata intorno all’equatore tra i 30° e 70° di longitudine, e che derivano da impatti con materiale in orbita attorno a Nettuno.

Atmosfera

Tritone possiede una tenue atmosfera ricca di azoto, in cui sono presenti anche piccole quantità di metano e monossido di carbonio in prossimità della superficie. Come l’atmosfera di Plutone, si pensa che l’atmosfera di Tritone sia il risultato dell’evaporazione dell’azoto della superficie. La temperatura superficiale è di almeno 35,6 K (-237,6 °C), più freddo comunque rispetto alla temperatura media di Plutone, che è di 44 K (-229 °C). La sua pressione atmosferica superficiale risulta di 15×10−6 atmosfere, cioè circa 1/70.000 di quella terrestre.

Nubi riprese dalla Voyager 2 nell’atmosfera di Tritone

La turbolenza sulla superficie di Tritone crea una troposfera a un’altitudine di 8 km. Le striature sulla superficie di Tritone lasciate dai pennacchi dei geyser suggeriscono che la troposfera sia regolata da venti stagionali capaci di muovere materiale di piccolissime dimensioni, dell’ordine del micrometro. A differenza di altre atmosfere, in quella di Tritone manca la stratosfera, mentre invece è presente una termosfera da 8 a 950 km di altitudine, ed un’esosfera al di sopra di essa. La temperatura dell’atmosfera superiore di Tritone, che è di circa 95 ± 5 K, è superiore a quella superficiale, a causa del calore assorbito dalla radiazione solare e della magnetosfera di Nettuno.  Una foschia avvolge la maggior parte della troposfera del Tritone, e si crede sia composta in gran parte da idrocarburi e nitrili creati dall’azione della luce solare sul metano. L’atmosfera di Tritone possiede anche nubi di azoto condensato che si trovano tra 1 e 3 km dalla superficie.

Ciclo delle stagioni

Seguendo Nettuno nell’orbita intorno al Sole, i poli di Tritone si alternano nell’esposizione diretta alla luce solare, dando probabilmente luogo a radicali cambi stagionali, con periodiche sublimazioni delle calotte polari. All’epoca del sorvolo da parte della Voyager 2, Tritone rivolgeva verso il Sole il proprio polo sud; l’emisfero meridionale del satellite è allora apparso quasi interamente coperto da una cappa di azoto e metano ghiacciati.

Vita su Tritone?

Data la sua attività geologica e il possibile riscaldamento mareale avuto in passato dopo la sua cattura, quando aveva un’orbita estremamente eccentrica, si è ipotizzato che Tritone potrebbe teoricamente ospitare forme di vita acquatiche, in un oceano di acqua liquida mista ad ammoniaca sotto la superficie.

 

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5 anni fa…rita levi montalcini

ansa – Rita Levi Montalcini moriva il 30 dicembre 2012, ma il ricordo della ‘signora della scienza italiana’ è più che mai vivo sia nel mondo della ricerca, sia nella rete delle 70 scuole che portano il suo nome.

“Il suo insegnamento è sempre attuale, non solo in ambito scientifico, ed è senza dubbio una stella polare per le nuove generazioni”, osserva in una nota la nipote Piera Levi-Montalcini, che è stata a lungo sua collaboratrice e che oggi è presidente dell’Associazione Levi-Montalcini. Nel 2013, inoltre, ha gettato le basi della Rete delle Scuole Levi-Montalcini “per mettere in contatto tra loro tutti gli enti di istruzione e formazione che vengono via via intitolati a una delle figure più prestigiose della ricerca italiana. “Oggi fanno parte della Rete oltre 70 scuole di ogni ordine e grado. Un circuito virtuoso – rileva Piera Levi Montalcini – per valorizzare tra i giovani la grande eredità scientifica e culturale lasciata dal premio Nobel”. Il messaggio per i giovani è “il suo più importante insegnamento”, ossia che “il risultato si può raggiungere solo attraverso una ferrea determinazione, sostenuta da un metodo rigoroso di ragionamento e di comprensione di ciò che ci circonda, uniti a una fervida creatività”.

Era stato questo il principio che aveva guidato Rita Levi Montalcini nella lunga carriera scientifica culminata nel Nobel per la Medicina del 1986, che le venne assegnato insieme a Stanley Cohen. La sua scoperta del fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf), avvenuta degli anni ’50, è ancora oggi al centro di molte ricerche di neuroscienze per le implicazioni che ha su molti aspetti non soltanto del sistema nervoso, ma di quello endocrino e di quello immunitario.

Nata a Torino il 22 aprile 1909, Rita Levi Montalcini era stata allieva di Giuseppe Levi e con i suoi compagni di corso, Renato Dulbecco e Salvador Luria, aveva formato un ‘formidabile trio’, diventato celebre perché tutti vennero premiati con il Nobel. Membro di molte accademie scientifiche, come quella dei Lincei, Rita Levi Montalcini è stata la prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2001 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

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un secolo fa la spagnola…

La versione del virus dell'influenza Spagnola ricostruita in laboratorio (fonte: Nova Scientia) © Ansa 
La versione del virus dell’influenza Spagnola ricostruita in laboratorio (fonte: Nova Scientia) © ANSA/Ansa

 

Non farsi trovare impreparati di fronte al virus sconosciuti né di fronte a nuove minacce globali, come quella dei batteri resistenti agli antibiotici: sono le lezioni più importanti della Spagnola, la terribile pandemia di influenza che all’inizio del 1918 si diffuse in tutto il mondo, provocando da 40 a 50 milioni di morti.

“Una delle principali teorie sulla Spagnola sostiene che il virus era particolarmente aggressivo perché penetrava in profondità nei tessuti”, osserva la virologa Ilaria Capua, a capo del Centro di eccellenza One Health dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida.

Di certo a rendere quel virus ancora più devastante c’era una popolazione duramente provata dalla Grande Guerra. A ricordare la più terribile delle pandemie ci sono le croci bianche del cimitero di Spitzbergen, nell’arcipelago norvegese delle Svalbard. Nel 1999 il virus è stato ‘riesumato’ nei corpi conservati dal terreno ghiacciato e studiato da vicino.

E’ emersa così la sua stretta parentela con i virus influenzali tipici dei volatili e le sue caratteristiche hanno fornito informazioni preziose per contrastare l’eventuale arrivo di virus altrettanto aggressivi. Nel 2005 era pronto il suo identikit genetico e nel 2008 erano state ricostruite le mutazioni che avevano permesso al virus di fare il cosiddetto ‘salto di specie‘, diventando trasmissibile da uomo a uomo: conoscenze cruciali per non farsi trovare impreparati all’arrivo di una nuova pandemia di influenza.

Era stata infatti notata una sorta di periodicità nelle ondate pandemiche, dalla Spagnola del 1918 all’Asiatica del 1957 alla Hong Kong del 1969. Quella del 2009 è stata la prima pandemia per la quale esisteva già un vaccino.

Oggi è chiaro quanto sia importante non farsi cogliere impreparati, non solo da un eventuale virus pandemico, ma da virus emergenti come quelli della Sars, Zika, Ebola. Uno dei pionieri della ricerca sui vaccini, Rino Rappuoli, chief scientist della GSK Vaccini, ha indicato più volte l’importanza di accelerare la ricerca grazie a piattaforme per i vaccini basate sul geni sintetici, ossia geni progettati al computer.

“Certamente – ha rilevato Capua – le epidemie influenzali continueranno a susseguirsi” e “il rischio che possa emergere un virus con caratteristiche inconsuete esiste, ma un’altra minaccia è alla porta: gli antibiotici che oggi funzionano – ha detto – tra alcuni anni non funzioneranno più. Di conseguenza controllare la prevenzione delle infezioni virali con la vaccinazione diventa sempre più importante per non arrivare al punto in cui si dovranno usare antibiotici”

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libero mercato?…

(ANSA) – ROMA, 29 DIC – Dal prossimo primo gennaio la famiglia tipo registrerà un incremento del +5,3% per le forniture elettriche mentre per quelle gas del +5%. È quanto prevede l’aggiornamento delle condizioni economiche di riferimento per le famiglie e i piccoli consumatori nei servizi di tutela comunicate dall’Autorità per l’energia sottolineando che per l’elettricità è stato decisivo l’incremento dei prezzi all’ingrosso e dei costi per adeguatezza e sicurezza mentre per il gas arriva il previsto effetto invernale

…ovvero trattasi di pura SPECULAZIONE avallata da quello che è diventato uno strumento di mercato e non di tutela con la fine delle fasce garantite…vi è piaciuto il libero mercato?

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si vota il 4 marzo…

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver sentito i Presidenti dei due rami del Parlamento, ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione, ha firmato il decreto di scioglimento del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di indizione della data delle elezioni il 4 marzo. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni porterà ora il decreto al Colle per la controfirma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Sono convocate per il 23 marzo le Camere per la prima seduta dopo lo elezioni. La seduta servirà a eleggere i rispettivi presidenti.

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buon natale 2017…

il natale non è solo la festività consumistica in cui pare che il sistema del business abbia trasformato una festa che, per credenti e non, dovrebbe essere soprattutto la celebrazione del pathos della nascita di cristo che si trasforma in comunione comunitaria e spirito di solidarietà, ed a questo proposito propongo due tele che per me meglio rappresentano proprio quel pathos ed entrambe dl titolo “l’adorazione dei pastori”…

la prima, di michelangelo merisi da caravaggio del 1609 conservata al museo regionale di messina, la seconda, di gerrit van honthorst, del 1622, coinvolta e quasi irreparabilmente danneggiata dalla bomba di via dei geogofili a firenze nel 1993 ed oggi, dopo un prodigioso restauro, trasferita dagli uffizi che la ospitavano allora alla cappella maggiore di santa felicita a firenze…

tutto questo solo per porgere

i miei migliori auguri di buon natale a tutte e tutti

L'immagine può contenere: 2 persone

L'immagine può contenere: 3 persone, persone sedute, bambino, notte e spazio al chiuso

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maria etruria per sempre

per la liberazione di mosul sono morti dai 9.000 agli 11.000 civili, morti di cui nessuno si assume la paternità diretta, né la coalizione a guida usa e le forze irachene, né ovviamente l’is, in una guerra bestiale la cui genesi nelle pieghe degli interessi sul medio oriente mi interessa di più delle dimissioni di una sgallettata…e tuttavia credo che costei debba dimettersi per opportunità e decenza, poichè non autorizzata ad occuparsi di banche dal ministro del tesoro, le cui parole sono lì a costituire un atto di accusa per colei che per tutti rimarrà per sempre maria “etruria” boschi

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il sistema solare in immagini – parte IX – urano ed i suoi satelliti

continuiamo il viaggio nel sistema solare con Urano e purtroppo, come per il seguente Nettuno, le uniche immagini di cui si dispone sono quelle della gloriosa Voyager 2, la cui camera non consentiva molto altro

Urano

Urano è il settimo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole, il terzo per diametro e il quarto per massa e, sebbene sia visibile anche ad occhio nudo, come gli altri cinque pianeti noti fin dall’antichità, non fu mai riconosciuto come tale a causa della bassa luminosità e dell’orbita molto lenta. La sua scoperta avvenne nel 1781 da William Herschel (il primo pianeta scoperto al telescopio) ed essa giunse del tutto inaspettata, poichè i pianeti visibili ad occhio nudo erano conosciuti da millenni e nessuno sospettava l’esistenza di altri pianeti. Da quel momento nessuno fu più sicuro del reale numero di pianeti del nostro sistema solare.

Uranus2.jpg

immagine di Urano scattata dalla sonda Voyager 2 nel 1986

La composizione chimica di Urano (simile a quella di Nettuno) è differente rispetto ai giganti gassosi Giove e Saturno. Per questa ragione gli astronomi talvolta preferiscono riferirsi a questi due pianeti trattandoli come una classe separata, i “giganti ghiacciati”. L’atmosfera del pianeta, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno per la presenza abbondante di idrogeno ed elio, contiene una proporzione elevata di “ghiacci”, come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, assieme a tracce di altri idrocarburi. Quella di Urano è anche l’atmosfera più fredda del sistema solare, con una temperatura minima che può scendere fino a 49 K (−224 °C), con una complessa struttura di nubi ben stratificata, in cui si pensa che l’acqua si trovi negli strati inferiori e il metano in quelli più superiori. L’interno del pianeta al contrario sarebbe composto principalmente di ghiacci e rocce.

Una delle caratteristiche più insolite del pianeta è l’orientamento del suo asse di rotazione. Gli altri pianeti hanno l’asse quasi perpendicolare al piano dell’orbita, mentre quello di Urano è quasi parallelo. Ruota quindi esponendo al Sole uno dei suoi poli per metà del periodo di rivoluzione con conseguente estremizzazione delle fasi stagionali. Inoltre, poiché l’asse è inclinato di poco più di 90°, la rotazione è tecnicamente retrograda, ovvero Urano ruota nel verso opposto rispetto a quello di tutti gli altri pianeti del sistema solare (eccetto Venere). Il periodo di rivoluzione attorno al Sole è circa 84 anni terrestri con un’orbita che si discosta poco dell’eclittica (inclinazione di 0,7°).

Uranus is seen in this false-color view from NASA's Hubble Space Telescope

immagine in falsi colori del telescopio Hubble che mostra le strutture ad anelli del pianeta

Come gli altri pianeti giganti, Urano possiede un sistema di anelli planetari, una magnetosfera e numerosi satelliti; visti dalla Terra, a causa dell’inclinazione del pianeta, i suoi anelli possono apparire come un sistema concentrico che circonda il pianeta, oppure, come nel 2007 e 2008, apparire di taglio. Nel 1986 la sonda Voyager 2 mostrò Urano come un pianeta senza alcun segno distintivo sulla sua superficie, senza le bande e tempeste tipiche degli altri giganti gassosi. Tuttavia, osservazioni successive condotte dalla Terra, hanno mostrato delle evidenze di cambiamenti legati alle stagioni e un aumento dell’attività climatica, quando il pianeta si è avvicinato all’equinozio. La velocità dei venti su Urano può raggiungere i 250 m/s, pari a 900 km/h.

Osservazione

Il pianeta manifesta fluttuazioni nella luminosità, ben documentate, determinate sia da cambiamenti fisici dell’atmosfera del pianeta, sia da considerazioni geometriche e prospettiche. La luminosità di Urano è influenzata dalla sua distanza dal Sole, dalla distanza dalla Terra e dalla particolare vista che offre al nostro pianeta: Urano appare leggermente più grande e luminoso quando mostra le regioni polari alla Terra. Inoltre è stata individuata una correlazione tra l’attività solare e la luminosità del pianeta: durante i periodi di intensa attività solare, le fluttuazioni nella luminosità del pianeta sono più pronunciate.

double image of blue planet

immagini composte da osservazioni del telescopio Hubble e dalla sonda Voyager 2 –  anelli ed aurore

Tra il 1995 ed il 2006 la magnitudine apparente di Urano è variata fluttuando tra +5,5 e +6,0, ponendolo giusto al di sopra del limite per la visibilità ad occhio nudo, intorno +6,5. All’opposizione, è visibile come una debole stella quando il cielo è scuro e può essere osservato anche in ambiente urbano usando un binocolo. Dalla terra ha un diametro compreso tra 3,4 e i 3,7 secondi d’arco. Con un telescopio a 100 ingrandimenti si riesce ad intravedere la forma di un disco, fino ad arrivare a 500× dove raggiunge le dimensioni angolari della Luna. Anche usando grossi telescopi non può essere visto nessun dettaglio del suo disco. Ad ogni modo osservazioni all’infrarosso della sua atmosfera mediante l’utilizzo di ottiche adattive e del Telescopio spaziale Hubble hanno riportato dati interessanti nei vari anni dopo il passaggio della sonda Voyager 2.

Immagine ripresa dal Telescopio spaziale Hubble – il satellite Ariel passa sul disco del pianeta

L’osservazione dei satelliti del pianeta è difficoltosa. Oberon e Titania possono essere individuati con un telescopio da 8”, in un cielo particolarmente buio. Aperture di 12-14 ” e 16 ” dovrebbero permettere l’individuazione di Ariel ed Umbriel rispettivamente. Miranda può essere osservata solo con grandi telescopi.

immagine in due bande dell’infrarosso scattate dal telescopio Keck

Missioni spaziali

L’esplorazione di Urano si deve alla sola sonda Voyager 2 ed in parte alla sonda New Horizons diretta verso Plutone, ma ad oggi non sono programmate altre missioni esplorative. Per ovviare alla mancanza di informazioni dirette, le variazioni nell’atmosfera del pianeta sono studiate attraverso campagne di osservazione telescopica, in particolare utilizzando la Camera planetaria a grande campo a bordo del Telescopio spaziale Hubble.

Risultato immagine per urano nasa

una immagine di Urano scattata dalla Voyager 2

L’esplorazione di Urano, come anche quella di Nettuno, è resa difficoltosa dalle grandi distanze che separano il pianeta dalla Terra e dal Sole. Ogni missione deve essere dotata di un sistema di alimentazione in grado di fornire energia alla sonda senza la possibilità di conversione dell’energia solare attraverso l’uso di pannelli fotovoltaici. Attualmente, l’unica fonte praticabile di energia è un generatore termoelettrico a radioisotopi.

 
 
L’ ultima immagine di Urano ripresa dalla Voyager 2 quando ha oltrepassato il pianeta per proseguire verso Nettuno.

Lo studio di Urano, infine, non è ritenuto prioritario dalle principali agenzie spaziali, che stanno invece concentrando le risorse nell’esplorazione dei sistemi di Giove e di Saturno e valutando l’opportunità di inviare una missione verso Nettuno.

Il sorvolo della Voyager 2

La sonda Voyager 2 toccò il massimo avvicinamento al pianeta il 24 gennaio 1986, ad una distanza di circa 81.500 km. Le osservazioni durarono solo sei ore, ma hanno ovviamente permesso di imparare su Urano molto più di 200 anni di osservazioni dalla Terra.

Uranus Rings and Two Moons

immagine scattata dalla Voyager 2 – gli anelli di Urano e due piccole lune

Le prime analisi condotte sui dati furono tuttavia un’enorme delusione: non veniva riscontrata la presenza di fasce parallele né di nubi, al contrario di quanto era stato osservato dalla Terra. L’atmosfera di un colore azzurro-verde era uniforme e priva completamente di dettagli. Fu solo grazie ad un trattamento delle immagini che apparvero sia le nubi che le altre formazioni. La sonda scoprì nuove lune, inviò a Terra le prime immagini degli anelli e scoprì inoltre attività geologica sulle lune maggiori: depositi scuri in fondo a crateri ghiacciati indicavano la presenza di acqua sporca dovuta ad attività vulcanica.

due immagini di Urano scattate dalla Voyager, la prima in colori reali, la seconda in falsi colori per contrastare le strutture atmosferiche del pianeta

Parametri orbitali e rotazione

Urano ruota attorno al Sole in 84 anni terrestri. La sua distanza media dal Sole è di circa 3.000 milioni di chilometri (circa 20 UA). L’intensità della luce solare su Urano è quindi circa 1/400 che sulla Terra. Gli elementi orbitali furono calcolati per la prima volta nel 1783 da Pierre-Simon Laplace. Le discrepanze tra l’orbita predetta e quella osservata portarono alla proposta di John Couch Adams, nel 1841, che la causa sarebbe potuta essere la forza gravitazionale dovuta alla presenza di un altro pianeta al di là di Urano. Nel 1845, Urbain Le Verrier iniziò la propria ricerca di un altro pianeta nelle vicinanza dell’orbita di Urano. Il 23 settembre 1846, Johann Galle trova un nuovo pianeta, più tardi chiamato Nettuno, nella posizione prevista da Le Verrier.

Il periodo di rotazione dell’interno di Urano è di 17 ore e 14 minuti, in senso retrogrado. Come in tutti i pianeti giganti gassosi, la sua atmosfera superiore è soggetta a forti venti in direzione di rotazione. Ad alcune latitudini, come a circa 60 gradi sud, l’atmosfera visibile ruota molto più velocemente, completando una rotazione in meno di 14 ore.

Inclinazione assiale

La particolarità di Urano sta nell’inclinazione del suo asse che si trova inclinato di 97,77° sul piano dell’orbita, pertanto l’asse di rotazione di Urano giace quasi sul suo piano orbitale. Di conseguenza uno dei due poli è diretto verso il Sole per metà dell’orbita, e per la successiva metà dell’orbita cade nella zona in ombra. Nel tratto intermedio all’inversione dei due poli rispetto al Sole, questo sorge e tramonta intorno all’equatore normalmente.

Inclinazione assiale dei giganti gassosi -si noti l’estrema inclinazione sul piano di Urano 

Il polo sud di Urano era diretto verso il Sole al momento del fly-by della Voyager 2 nel 1986, risultando completamente illuminato. Quel polo è definito come “sud” in base alle convenzioni dell’Unione Astronomica Internazionale che definisce il polo nord di un pianeta o satellite il polo che punta “sopra” il piano del Sistema Solare, indipendentemente dalla direzione della rotazione del pianeta. Un risultato di questo strano orientamento è che le regioni polari di Urano ricevono una grande quantità di energia dal Sole in maniera maggiore rispetto alle regioni prossime all’equatore. Tuttavia Urano è più caldo all’equatore che ai poli, anche se il motivo non è attualmente conosciuto.

Sembra anche che l’estrema inclinazione dell’asse di rotazione di Urano causi delle variazioni estreme nelle stagioni per quanto riguarda la meteorologia del pianeta. Durante il viaggio del Voyager 2 le nubi di Urano erano estremamente deboli e miti, mentre osservazioni più recenti (2005) fatte tramite il telescopio spaziale Hubble hanno rilevato una presenza molto più accentuata e turbolenta di allora, quando l’inclinazione dell’asse stava portando l’equatore nella direzione perpendicolare al Sole (questo allineamento si è avuto nel 2007).

La ragione dell’insolita inclinazione assiale di Urano non è nota con certezza: si è pensato in passato che durante la formazione del sistema solare un protopianeta con massa due volte quella terrestre sia entrato in collisione col pianeta facendone “ruotare” l’asse. Tuttavia questa ipotesi non spiegherebbe perché le lune principali di Urano abbiano anch’esse l’asse di rotazione di 98° come il pianeta e non abbiano invece conservato le orbite originarie. Nel 2011 è stato pubblicato uno studio basato su simulazioni al computer riguardo a diversi scenari d’impatto avuti da Urano durante la formazione del sistema solare, studio che afferma che le collisioni subite da Urano durante la formazione del sistema solare dovrebbero essere state ripetute, due o forse più, perché nel caso di un solo impatto, le lune avrebbero assunto molto probabilmente una rotazione retrograda, al contrario di quanto effettivamente osservato nell’era attuale.

Caratteristiche chimico-fisiche

Composizione

Il modello standard della struttura di Urano prevede la divisione in tre strati: lo strato roccioso (silicati, ferro, nichel) al centro, un mantello ghiacciato nel mezzo e uno strato gassoso composto da idrogeno ed elio all’esterno. Il nucleo è relativamente piccolo, con una massa di appena 0,55 masse terrestri e un raggio inferiore al 20% del raggio totale, mentre il mantello ha una massa 13,4 volte quella terrestre. L’atmosfera esterna è relativamente inconsistente, appena 0,5 masse terrestri e costituisce il 20% del raggio di Urano. La densità del nucleo di Urano è di circa 9 g/cm³, con una pressione al centro di 8 milioni di bar e una temperatura di circa 5000 K. Il mantello non è costituito da ghiaccio nel senso convenzionale del termine, bensì da un fluido contenente acqua, ammoniaca e altre sostanze volatili. Le composizioni di Urano e Nettuno sono piuttosto diverse da quelle di Giove e Saturno, con una prevalenza dei materiali ghiacciati rispetto ai gas.

modello della composizione interna del pianeta

Anche se il modello citato sopra è quello considerato standard, esistono altri modelli possibili, tuttavia i dati attualmente disponibili non consentono agli scienziati di determinare quale sia il modello corretto.

Massa e dimensioni

La massa di Urano è circa 14,5 volte quella della Terra, il che lo rende il meno massiccio dei pianeti giganti, nonostante il suo diametro, circa quattro volte quella della Terra, sia leggermente più grande di quello di Nettuno. Con una densità di 1,27 g/cm³ Urano è il secondo pianeta meno denso del sistema solare, dopo Saturno. La sua densità indica che Urano è composto principalmente di acqua, ammoniaca e metano congelati. La massa totale di ghiaccio interno di Urano non è nota con precisione, perché emergono alcune differenze a seconda del modello scelto; essa dovrebbe essere compresa tra 9,3 e 13,5 masse terrestri. L’idrogeno e l’elio costituiscono solo una piccola parte della massa totale, rispettivamente 0,5 e 1,5 masse terrestri. Il resto della massa non ghiacciata (da 0,5 a 3,7 masse terrestri) è costituita da materiale roccioso.

Struttura interna

La struttura interna di Urano non presenta una crosta solida ed il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l’interno e gradualmente covertendosi in liquido. Per convenzione, viene designata come superficie di uno sferoide oblato il punto dove la pressione atmosferica è pari a 1 bar; quindi Urano ha un raggio equatoriale e un raggio polare pari rispettivamente a 25 559 ± 4 e 24 973 ± 20 km.

modello di composizione dell’atmosfera e dell’interno del pianeta

Urano (come Nettuno) è solo in parte simile alla parte interna di Giove e Saturno, non essendo presente l’idrogeno metallico liquido che i due pianeti giganti posseggono, grazie alle pressioni enormi che esercitano sulle loro parti interne. Urano, di massa più piccola, non può generare una pressione sufficiente. Il nucleo roccioso è relativamente piccolo e poco massiccio, inoltre si differenzia da Nettuno e dagli altri pianeti giganti per la mancanza di calore interno: in termini astronomici esso ha un basso flusso termico. Non è chiaro esattamente il motivo per cui Urano non irradia verso l’esterno energia, come fa ad esempio il “gemello” Nettuno, che irradia 2,61 volte più energia nello spazio di quanto ne riceve dal Sole. Il calore irradiato da Urano nella banda del lontano infrarosso dello spettro è solo 1,06 ± 0,08 volte l’energia solare assorbita nella sua atmosfera. Infatti, il flusso di calore di Urano è solo 0,042 ± 0,047 W/m², che è inferiore al flusso di calore interno della Terra di circa 0,075 W/m². La temperatura più bassa registrata nella tropopausa di Urano è di 49 K (-224 °C), rendendo Urano il pianeta più freddo del Sistema Solare.

Una delle ipotesi per questa differenza rispetto altri giganti gassosi è che quando Urano fu colpito nell’impatto col corpo che ha causato la sua peculiare inclinazione assiale, venne espulsa la maggior parte del calore interno originario, riducendo sensibilmente la temperatura del nucleo. Un’altra ipotesi è che ci sia un qualche tipo di barriera negli strati superiori che impedisce al calore del nucleo di raggiungere la superficie, come una convezione tra strati di diversa composizione, che inibisce il trasporto di calore verso l’esterno.

Atmosfera

L’atmosfera è composta da idrogeno (83%), elio (15%), metano (2%) e con tracce di acqua ed ammoniaca. Le capacità degli strumenti di rilevazione permettono di raggiungere una profondità di circa 300 km al di sotto dello strato alla pressione di 1 bar assunto come zero altimetrico, a cui corrispondono una pressione di 100 bar ed una temperatura di 320 K. L’atmosfera può essere divisa in tre strati: la troposfera, ad un’altitudine compresa tra i -300 sotto al livello dove la pressione è pari a un bar e 50 km, con pressioni che variano da 100 a 0,1 bar (10 MPa a 10 kPa), la stratosfera, ad altitudini tra i 50 e 4000 km e pressioni tra 0,1 e 10−10 bar (10 kPa a 10 Pa), e la termosfera/corona, che si estende da 4000 km a 50.000 km sulla superficie. Il colore ciano del pianeta è dovuto alla presenza di metano nell’atmosfera, che assorbe la luce rossa e riflette quella blu. La temperatura della superficie delle nuvole che ricoprono Urano è di circa 55 K (−218 °C). Urano è talmente distante dal Sole che l’escursione termica tra l’estate e l’inverno è quasi nulla.

A New Look at Uranus

una immagine agli infrarossi del telescopio giapponese Subaru di Urano e le lune Miranda (in alto) e Ariel (in basso), che mostra il metano con il colore blu.

Troposfera

La troposfera è la regione inferiore e più densa dell’atmosfera ed è caratterizzata dalla diminuzione della temperatura con l’altezza. La temperatura varia da circa 320 K alla base della troposfera, a −300 km, a 53 K a 50 km. La sonda Voyager 2 durante il fly-by al pianeta rilevò la presenza di nubi di metano attraverso misurazioni radio durante un’occultazione, tuttavia gli altri strati nuvolosi di Urano non sono ben noti. È stato ipotizzato che nuvole d’acqua giacciano entro i 50-100 bar di pressione, nuvole di idrosolfuro di ammonio (NH4HS) entro i 20-40 bar, nuvole di ammoniaca o acido solfidrico entro i 3-10 bar ed infine nuvole di metano entro 1-2 bar. La troposfera è una regione molto dinamica dell’atmosfera, manifestando forti venti, moti convettivi, nubi altamente brillanti e cambiamenti stagionali.

Profilo della temperatura della troposfera di Urano e della sua bassa stratosfera. Sono riportati anche gli strati nuvolosi e di foschia.

Atmosfera superiore

Lo strato intermedio dell’atmosfera di Urano è la stratosfera, dove le temperature generalmente variano con l’altezza a partire da 53 K, in corrispondenza della tropopausa, fino a valori compresi tra gli 800 e gli 850 K alla base della termosfera. Il riscaldamento che si verifica nella stratosfera è dovuto all’assorbimento di radiazione solare, nell’ultravioletto e nell’infrarosso, da parte del metano e di altri idrocarburi, che si formano in questa regione dell’atmosfera in conseguenza della fotolisi del metano. Gli idrocarburi più abbondanti sono l’acetilene e l’etano. Il metano ed il monossido di carbonio alle stesse altitudini presentano valori simili, mentre idrocarburi più pesanti e l’anidride carbonica sono presenti con abbondanze tre ordini di grandezza più piccole.

 
 
Profilo della temperatura nella stratosfera e nella termosfera di Urano. L’area ombreggiata corrisponde allo strato con un’elevata abbondanza di idrocarburi.

L’etano e l’acetilene tendono a condensare nella parte inferiore, più fredda, della stratosfera e nella tropopausa formando strati di foschia, che potrebbero essere responsabili dell’aspetto “mite” di Urano. La concentrazione degli idrocarburi nella stratosfera del pianeta è significativamente inferiore rispetto a quanto riscontrato nelle stratosfere degli altri pianeti giganti.

Termosfera/corona

Lo strato più esterno dell’atmosfera di Urano è la termosfera/corona, che presenta una temperatura uniforme compresa tra 800 e 850 K. La fonte di calore responsabile di un valore così alto della temperatura non è stata ancora identificata, perché né le radiazioni solari ultraviolette né l’attività delle aurore polari, peraltro insignificanti rispetto alle aurore di Giove e Saturno, possono fornire la necessaria energia. Oltre a idrogeno molecolare, la termosfera-corona contiene una notevole quantità di atomi di idrogeno libero. La loro piccola massa insieme con le alte temperature spiega il perché la corona si estende fino a 50 000 km di altitudine dalla superficie, equivalenti a due raggi di Urano. Questa corona tanto estesa è una caratteristica che rende Urano unico tra i pianeti. I suoi effetti includono una forza di resistenza fluidodinamica sulle piccole particelle in orbita attorno al pianeta, determinando l’impoverimento degli anelli dalla polvere.

La termosfera, nella parte superiore della stratosfera, corrisponde alla ionosfera di Urano. Le osservazioni mostrano che la ionosfera si trova ad altitudini comprese tra i 2 000 e 10 000 km. La ionosfera di Urano è più densa di quella di Saturno e Nettuno; ciò potrebbe derivare dalla minore concentrazione di idrocarburi nella stratosfera.. La ionosfera è sostenuta principalmente dalla radiazione solare ultravioletta e la sua densità dipende dall’attività solare.

Bande, nubi e venti

Nel 1986, la Voyager 2 scoprì che l’emisfero meridionale visibile di Urano può essere suddiviso in due regioni: una luminosa calotta polare e bande equatoriali scure. Il loro confine si trova a circa -45° di latitudine. Una banda brillante tra le latitudini da -45 a -50° era la caratteristica più visibile dell’atmosfera esterna. Si pensa che questa struttura, chiamata il “collare del sud”, sia una regione densa di nubi di metano situate all’interno del campo di pressione compreso tra 1,3 e 2 bar. Oltre alla struttura a bande su larga scala, la Voyager 2 osservò dieci piccole nuvole luminose, parecchi gradi a nord del collare, mentre per il resto Urano appariva come un pianeta senza dinamica. La Voyager 2 arrivò durante la piena estate australe di Urano e non riuscì a osservare l’emisfero settentrionale. All’inizio di questo secolo, quando la regione polare settentrionale cominciava a rendersi visibile dalla Terra, il Telescopio Spaziale Hubble e i Telescopi Keck inizialmente non osservarono nessun collare o calotta polare nell’emisfero nord. Tuttavia, quando Urano passò oltre il suo equinozio, il collare meridionale era quasi scomparso, mentre un debole collare settentrionale iniziava a formarsi vicino alla latitudine 45°N.

 
 

La Grande Macchia Scura di Urano, scoperta dal Telescopio spaziale Hubble nel 2006.

Nel 1990, grazie al miglioramento delle tecniche osservative dalla Terra, si osservarono le nubi dell’emisfero settentrionale, che iniziavano a divenire visibili dalla Terra. Vennero trovate molte nubi luminose, più che nell’emisfero meridionale, anche perché nell’emisfero sud il collare luminoso tendeva a mascherarne diverse, togliendo contrasto alle immagini. La differenza principale tra i due emisferi pare sia l’altitudine più elevata alla quale si trovano le nubi dell’emisfero nord, che sembrano più piccole ma più nitide e brillanti. Molte piccole nuvole osservate avevano una durata di poche ore, tuttavia furono osservate formazioni più persistenti, come una “Macchia Scura” (Uranus Dark Spot) che mai era stata osservata prima del 2006.

Black and white image of Uranus reveals cloud details.

Immagine del telescopio che rivela la struttura delle nubi dell’atmosfera di Urano

La velocità massima dei venti è stata rilevata nell’emisfero settentrionale nei pressi della latitudine +50°N, dove i venti possono raggiungere facilmente gli 850 km/h, con punte fino a 900 km/h. I venti all’equatore spirano in direzione retrograda, ossia in direzione opposta alla rotazione del pianeta, con velocità comprese tra -100 e -50 m/s. La velocità del vento aumenta con la distanza dall’equatore, raggiungendo valori vicino allo zero a ± 20° di latitudine, dove si trova la temperatura minima della troposfera. Più vicino ai poli, i venti si muovono in moto diretto, nello stesso senso della rotazione di Urano. La velocità del vento continua ad aumentare raggiungendo i massimi a ± 60° di latitudine, prima di scendere a zero nei pressi dei poli. Nell’emisfero sud, il collare oscura le dinamiche atmosferiche nelle vicinanze del polo sud, impedendo la misurazione della velocità dei venti.

Clima

L’atmosfera di Urano è piuttosto regolare rispetto agli altri giganti gassosi, anche rispetto a Nettuno, il più simile per altri aspetti. Quando la Voyager 2 si avvicinò a Urano, furono osservate solo una decina di formazioni nuvolose su tutto il pianeta. Una spiegazione proposta per questo è il basso calore interno di Urano rispetto a quella degli altri pianeti giganti.

Cambiamenti stagionali

Per un breve periodo, da marzo a maggio del 2004, grandi nubi apparvero nell’atmosfera di Urano, compresa una tempesta persistente, mentre furono misurati venti spirare a oltre 800 km/h, rendendo così Urano simile nell’aspetto a Nettuno. Il 23 agosto 2006, ricercatori dello Space Science Institute e dell’Università del Wisconsin osservarono una macchia scura sulla superficie di Urano, consentendo agli astronomi di reperire maggiori informazioni sull’attività atmosferica di Urano. Non è completamente noto il perché di questi cambiamenti, ma sembrano essere legati all’inclinazione assiale di Urano che causa delle variazioni stagionali del clima di lunga durata, a seconda della posizione del pianeta nella sua orbita attorno al Sole. Determinare la natura di questa variazione stagionale non è semplice in quanto i dati atmosferici di Urano sono noti da meno della durata dell’anno uraniano. Dal 1950 si sono osservate variazioni di luminosità con massimi durante i solstizi e minimi durante gli equinozi. Anche alcune misure della temperatura stratosferica, a partire dal 1970, hanno mostrato cambiamenti più significativi in prossimità del solstizio del 1986.

Ci sono alcune ragioni per ritenere che cambiamenti fisici stagionali stiano avvenendo su Urano. Negli ultimi decenni l’emisfero sud è stato nettamente più brillante, tuttavia durante il precedente solstizio nell’emisfero nord il polo nord era più brillante, e nel 1990, dopo un certo periodo del solstizio nell’emisfero sud, la calotta polare sud si stava notevolmente oscurando (tranne il collare sud), confermando l’ipotesi che il polo che si avvicina al solstizio si illumina per un determinando periodo, e si oscura passato l’equinozio. Nel 2007 infatti, dopo l’equinozio, è apparsa una debole calotta polare nord, mentre quella meridionale diventò quasi invisibile, anche se il profilo dei venti è comunque leggermente asimmetrico, con i venti dell’emisfero nord generalmente un po’ più deboli di quelli dell’emisfero sud.

Si pensa che la variazione della luminosità dell’emisfero illuminato dal Sole derivi dal locale ispessimento delle nubi di metano e degli strati di foschia che si trovano nella troposfera. Il collare luminoso a -45° di latitudine è anch’esso collegato alle nubi di metano. Altre variazioni nella regione polare sud si possono spiegare con cambiamenti negli strati più bassi delle nubi. Le nubi polari spesse e la foschia possono inibire la convezione, ma ora che gli equinozi di primavera e autunno stanno arrivando su Urano, le dinamiche della convezione potrebbero cambiare di nuovo.

Campo magnetico

Prima dell’arrivo della Voyager 2, non era stata effettuata nessuna misurazione della magnetosfera di Urano, quindi la sua natura rimaneva misteriosa, anche se si riteneva che il campo magnetico fosse allineato ai venti solari. Gli astronomi, dopo i dati della Voyager si trovarono di fronte ad un campo magnetico particolare, non previsto precedentemente, in quanto inclinato di 59° rispetto all’asse di rotazione del pianeta, con i poli magnetici che si trovano in pratica all’equatore e non nei pressi dei poli. Inoltre il campo magnetico non si origina dal centro del pianeta, in quanto il suo dipolo magnetico è spostato verso l’emisfero sud di circa un terzo del raggio del pianeta. La magnetosfera di Urano risulta pertanto fortemente asimmetrica, con l’intensità del campo magnetico sulla superficie che va da 0,1 gauss (10 microtesla) dell’emisfero meridionale e può arrivare a 1,1 gauss (110 microtesla) nell’emisfero nord, ed una media in superficie di 0,23 gauss.

 
 

La complessità del campo magnetico di Urano, causata dalla forte inclinazione dei suoi poli magnetici rispetto all’asse di rotazione.

Il momento del dipolo di Urano è 50 volte quello della Terra, e come Nettuno il suo campo magnetico risulta fortemente inclinato, al contrario di quello terrestre e degli altri giganti gassosi, suggerendo che questa caratteristica potrebbe essere comune nei giganti di ghiaccio. La spiegazione per tale ipotesi è che, a differenza dei campi magnetici della Terra e degli altri pianeti, che hanno campi magnetici generati nel loro nucleo, i campi magnetici dei giganti di ghiaccio sono generati dal movimento di materia a profondità relativamente basse, come ad esempio un oceano di acqua e ammoniaca.

Nonostante lo strano allineamento, per altri versi la magnetosfera di Urano è come quella degli altri pianeti, con un limite esterno che si trova a circa 23 raggi in direzione del Sole, una magnetopausa a 18 raggi di Urano. La struttura della magnetosfera uraniana è diversa da quella di Giove e più simile a quella di Saturno. La “coda” della magnetosfera di Urano si estende dietro il pianeta, in direzione opposta al Sole, fino ad una decina di milioni di chilometri, prendendo una forma a spirale a causa della rotazione del pianeta. Il flusso di particelle è abbastanza alto da causare un’erosione dei satelliti in un intervallo di tempo molto rapido in termini astronomici, di 100.000 anni. Questa potrebbe essere la causa della colorazione uniformemente scura dei satelliti e degli anelli. Il fascio di particelle del campo magnetico sviluppa aurore visibili come archi luminosi attorno ai due poli magnetici, anche se, a differenza di Giove, le aurore di Urano sono poco significative, brevi e dall’aspetto puntiforme.

Anelli

 
 
Sopra schema degli anelli interni di Urano; sono mostrati alcuni satelliti e le loro orbite.
Sotto, schema degli anelli esterni

Urano possiede un sistema di anelli appena percettibile, composto da materia scura e polverizzata fino a 10 km di diametro. Il sistema di anelli fu scoperto il 10 marzo 1977 grazie all’osservatorio volante Kuiper Airborne Observatory. La scoperta fu inaspettata: gli astronomi avevano predisposto l’aereo appositamente per studiare un fenomeno molto raro, ovvero l’occultazione di una stella (SAO 158687) da parte di Urano, con l’intento di poter studiare la sua atmosfera, che avrebbe filtrato i raggi della stella, prima che questa scomparisse dietro il pianeta. Il C141 trasportava un telescopio di 90 cm e un fotometro fotoelettrico molto sensibile, capace di misurare le più piccole variazioni di luminosità. Quando i ricercatori analizzarono le loro osservazioni scoprirono che la stella era scomparsa brevemente dalla vista cinque volte prima e dopo l’occultamento da parte del pianeta. Dopo ripetuti controlli, nel dubbio di un difetto nello strumento, conclusero che intorno ad Urano doveva esserci un sistema di anelli analoghi a quelli di Saturno, almeno cinque. Successivamente vennero scoperti quattro ulteriori anelli. Tale sistema venne rilevato direttamente quando la sonda spaziale Voyager 2 passò nei pressi di Urano nel 1986. La Voyager scoprì anche altri due anelli, portando il numero totale degli anelli a undici.

una immagine del telescopio Hubble che mostra la distanza tra gli anelli ed il pianeta

Nel dicembre 2005 il telescopio spaziale Hubble fotografò due nuovi anelli, il più largo dei quali ha un diametro due volte più grande degli anelli precedentemente conosciuti. Data la lontananza da Urano, i nuovi anelli sono stati definiti “sistema di anelli esterno”. I due anelli sono così lontani dal pianeta che sono stati anche chiamati il “secondo sistema di anelli” di Urano. Gli scienziati che hanno effettuato lo studio ipotizzano che l’anello più esterno venga continuamente alimentato dal satellite Mab, scoperto nel 2005 e dal diametro di circa 20 km, che orbita all’interno di tale anello.

una immagine della Voyager 2 che mostra l’intera struttura ad anelli del pianeta

Nell’aprile del 2006, le immagini dei nuovi anelli dell’Osservatorio Keck hanno rivelato i colori degli anelli esterni: il più esterno è blu mentre l’altro è rosso. Una ipotesi che spiegherebbe il colore blu dell’anello esterno è che esso sia composto da minuscole particelle di ghiaccio d’acqua rilasciato dalla superficie di Mab, sufficientemente piccole da diffondere la luce blu.

Satelliti naturali

I satelliti naturali di Urano conosciuti sono 27, e tra questi i 5 principali sono: Ariel, Umbriel, Titania, Oberon, Miranda, nel gruppo dei satelliti regolari, che comprende anche 13 lune minori, ovvero Cordelia, Ofelia, Bianca, Cressida, Desdemona, Giulietta, Porzia, Rosalinda, Cupido, Belinda, Perdita, Puck e Mab. Si ritiene che tutti i satelliti regolari, che complessivamente sono diciotto, si siano formati mediante il tradizionale processo di accrescimento di dischi protoplanetari orbitanti intorno ad Urano, analogamente ai principali pianeti del sistema solare. I primi ad essere scoperti, da parte di William Herschel nel 1787, furono Titania e Oberon, mentre nel 1840 William Lassell scoprì Ariel e Umbriel. Passò poi quasi un secolo senza nessuna scoperta, fino a quando, nel 1948, Gerard Kuiper scoprì Miranda, il più piccolo dei satelliti principali di Urano. L’ultimo satellite scoperto è Margherita nel 2003, ma nel 2016, grazie all’analisi di alcune foto della sonda Voyager vecchie di trent’anni, si sono aggiunti altri due satelliti non confermati. Il sistema satellitare di Urano è il meno massiccio tra quelli dei pianeti giganti; infatti, la massa combinata dei cinque maggiori satelliti è meno della metà di quella del solo Tritone, la maggiore delle lune di Nettuno. Il più grande dei satelliti di Urano, Titania, ha un diametro di 1578 km, meno della metà della Luna, ma poco più grande di Rea, la seconda più grande luna di Saturno, il che rende Titania l’ottavo satellite più grande del Sistema Solare.

I satelliti irregolari, contrariamente ai regolari, presentano orbite di maggiori dimensioni, più eccentriche e inclinate rispetto al piano equatoriale di Urano. A questo gruppo appartengono nove satelliti minori: Francisco, Calibano, Stefano, Trinculo, Sicorace, Margherita, Prospero, Setebos e Ferdinando. Si ritiene che questi satelliti, a differenza dei regolari, non si siano formati all’interno del sistema uraniano, ma siano stati catturati, in tempi successivi, dalla forza di gravità del pianeta.

I 5 satelliti principali di Urano in ordine crescente di distanza dal pianeta (da sinistra a destra): Miranda, Ariel, Umbriel, Titania e Oberon. (non sono ovviamente rispettate le distanze)

Tra i satelliti di Urano, Ariel sembra avere la superficie più giovane con il minor numero di crateri da impatto, mentre la superficie di Umbriel appare la più antica. La superficie di Miranda appare caotica e pare sia stata interessata in passato da un’intensa attività geologica. Sono evidenti vari strati sovrapposti, alcuni recenti ed altri più antichi, solcati dai canyon più profondi del Sistema solare, che raggiungono anche i 20 km di profondità. Si pensa che la sua superficie abbia sofferto intense forze mareali nel passato, in un momento in cui la sua orbita era più eccentrica di quella odierna. Almeno un oggetto è legato a Urano in un’orbita a ferro di cavallo, che occupa il punto lagrangiano Sole-Urano L3, 83982 Crantor, che si muove in un’orbita temporanea all’interno della regione orbitale di Urano.[93] Un altro candidato oggetto in orbita a ferro di cavallo è 2010 EU65.

Nome

Diametro
medio

Massa

Raggio
orbitale
medio

Periodo orbitale

Urano VI

Cordelia

13 ± 2 km

0,8×1018 kg

49 752 km

0,3350338 giorni

Urano VII

Ofelia

15 ± 8 km

0,8×1018 kg

53 764 km

0,376400 giorni

Urano VIII

Bianca

21 ± 4 km

0,8×1018 kg

59 166 km

0,43457899 giorni

Urano IX

Cressida

80 ± 4 km

0,343×1018 kg

61 780 km

0,463570 giorni

Urano X

Desdemona

64 ± 8 km

0,178×1018 kg

62 680 km

0,473650 giorni

Urano XI

Giulietta

94 ± 8 km

0,557×1018 kg

64 350 km

0,493065 giorni

Urano XII

Porzia

135 ± 8 km

1,68×1018 kg

66 090 km

0,513196 giorni

Urano XIII

Rosalinda

72 ± 12 km

0,254×1018 kg

69 940 km

0,558460 giorni

Urano XXVII

Cupido

~17,8 km

3,8×1015 kg

74 800 km

0,618 giorni

Urano XIV

Belinda

81 ± 16 km

0,357×1018 kg

75 260 km

0,623527 giorni

Urano XXV

Perdita

~26,6 km

13×1015 kg

76 420 km

0,638 giorni

Urano XV

Puck

162 ± 4 km

2,89 × 1018 kg

86 010 km

0,761833 giorni

Urano XXVI

Mab

~24,8 km

1,0 × 1016 kg

97 734 km

0,923 giorni

Urano V

Miranda

471,6 ± 1,4 km

(66 ± 7) × 1018 kg

129 390 km

1,413479 giorni

Urano I

Ariel

1157,8 ± 1,2 km

(1,35 ± 0,12) × 1021 kg

191 020 km

2,520379 giorni

Urano II

Umbriel

1169,4 ± 5,6 km

(1,17 ± 0,13) × 1021 kg

266 300 km

4,144177 giorni

Urano III

Titania

1577,8 ± 3,6 km

(3,53 ± 0,09) × 1021 kg

435 910 km

8,705872 giorni

Urano IV

Oberon

1522,8 ± 5,2 km

(3,01 ± 0,07) × 1021 kg

583 520 km

13,463239 giorni

Urano XXII

Francisco

~12 km

1,3×1015 kg

4 276 000 km

-0,7299 anni

Urano XVI

Calibano

~98 km

0,73×1018 kg

7 231 000 km

-1,5871 anni

Urano XX

Stefano

~20 km

6×1015 kg

8 004 000 km

-1,8546 anni

Urano XXI

Trinculo

~10 km

0,75×1015 kg

8 504 000 km

-2,0780 anni

Urano XVII

Sicorace

~190 km

5,4×1018 kg

12 179 000 km

-3,5272 anni

Urano XXIII

Margherita

~11 km

1,3×1015 kg

14 345 000 km

4,6401 anni

Urano XVIII

Prospero

~30 km

21×1015 kg

16 256 000 km

-5,4136 anni

Urano XIX

Setebos

~30 km

21×1015 kg

17 418 000 km

-6,1185 anni

Urano XXIV

Ferdinando

~12 km

1,3×1015 kg

20 901 000 km

-7,7300 anni

Ariel

Ariel è la più luminosa e la quarta in ordine di grandezza delle 27 lune conosciute di Urano. Ariel orbita e ruota nel piano equatoriale di Urano, che è quasi perpendicolare all’orbita di Urano, e ha quindi un ciclo di stagioni estreme.

Ariel (moon).jpg

Ariel in scala di grigi, ripreso dalla Voyager 2. Il sistema di canyon Chasma Kachina si estende lungo la parte superiore dell’immagine.

Gran parte della conoscenza di Ariel deriva da un unico flyby di Urano effettuato dalla sonda Voyager 2, che è riuscita a riprendere l’immagine di circa il 35% della superficie della luna. Non ci sono per il momento piani per tornare a studiare la luna in modo più dettagliato, anche se vari progetti, come Urano orbiter and probe, vengono proposti di volta in volta.

L’immagine a colori di Ariel a più alta risoluzione ripresa da Voyager 2. Canyon ricoperti di pianure levigate sono visibili in basso a destra. Il cratere luminoso Laica è in basso a sinistra.

Dopo Miranda, Ariel è il secondo più piccolo dei cinque maggiori satelliti sferici di Urano, e il secondo più vicino al pianeta. Tra le più piccole delle 19 lune sferiche conosciute del Sistema Solare (è la 14ª per diametro), si ritiene che sia composto di ghiaccio e materiale roccioso più o meno in parti uguali. Come tutte le lune di Urano, Ariel si formò probabilmente da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione e, come altre lune di grandi dimensioni, è verosimilmente differenziato, con un nucleo interno di roccia circondato da un mantello di ghiaccio. Ariel ha una superficie complessa composta da un ampio terreno craterizzato attraversato da un sistema di scarpate di faglia, canyon e creste. La superficie mostra segni di attività geologica più recente rispetto ad altre lune di Urano, molto probabilmente a causa delle forze di marea.

Mappa di Ariel in falso colore. Il prominente cratere non circolare (sotto e a sinistra del centro) è Yangoor. Parte di esso è stato cancellato durante la formazione delle terre di rilievi attraverso processi tettonici

Orbita

Tra le cinque maggiori lune di Urano, Ariel è la seconda più vicina al pianeta, orbitando alla distanza di circa 190.000 km. La sua orbita è poco eccentrica ed è inclinata molto poco rispetto all’equatore di Urano. Il suo periodo orbitale è di circa 2,5 giorni terrestri, coincidente con il suo periodo di rotazione, quindi una faccia della luna è sempre rivolta verso il pianeta (rotazione sincrona), completamente all’interno della magnetosfera di Urano. L’emisfero di coda (parte opposta rispetto alla direzione dell’orbita) dei satelliti senza atmosfera che orbitano all’interno di una magnetosfera viene colpito dal plasma magnetosferico co-rotante con il pianeta ed il bombardamento porta all’oscuramento dell’emisfero di coda, riscontrato per tutte le lune di Urano ad eccezione di Oberon.

immagini dal telescopio Hubble – Ariel transita avanti ad Urano, proiettando la sua ombra

Poiché Ariel, come Urano, orbita intorno al Sole quasi sul proprio fianco rispetto alla sua rotazione, gli emisferi settentrionale e meridionale sono rivolti verso il Sole o dalla parte opposta ai solstizi, avendo così un ciclo di stagioni estreme; i poli di Ariel vedono la notte permanente o la luce del giorno per mezzo anno di Urano (42 anni terrestri), con il Sole che passa vicino allo zenit sopra ad uno dei poli ad ogni solstizio. Il flyby di Voyager 2 coincise con il solstizio d’estate del 1986 dell’emisfero meridionale, quando quasi tutto l’emisfero nord non era illuminato. Una volta ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale interseca la Terra, diventano possibili mutue occultazioni dei satelliti di Urano.

Ariel non si trova in alcuna risonanza orbitale con altri satelliti di Urano. In passato, tuttavia, potrebbe essere stato in risonanza 5:3 con Miranda, che quindi potrebbe essere stata in parte responsabile del suo riscaldamento (anche se il riscaldamento massimo attribuibile a una precedente risonanza 1:3 di Umbriel con Miranda doveva essere probabilmente circa tre volte maggiore). Ariel potrebbe essere stato un tempo legato in risonanza 4:1 con Titania, dalla quale si è poi affrancato. Fughe da una risonanza di moto medio sono molto più facili per le lune di Urano piuttosto che per quelle di Giove o di Saturno, a causa del minor grado di schiacciamento di Urano. Questa risonanza, che probabilmente si è verificata circa 3,8 miliardi di anni fa, avrebbe incrementato l’eccentricità orbitale di Ariel, con conseguente attrito mareale a causa delle forze di marea di Urano. Ciò potrebbe aver provocato il riscaldamento delle parti interne della luna di 20 K.

Composizione e struttura interna

Ariel, la quarta più grande delle lune di Urano, potrebbe avere la terza massa più grande. La densità di 1.66 g/cm3, significa che si compone di parti uguali di acqua ghiacciata e di un componente denso ghiacciato, rocce e materiale carbonioso comprendente composti organici pesanti noti come toline. La presenza di ghiaccio d’acqua è avvalorata da osservazioni spettroscopiche agli infrarossi che hanno rivelato ghiaccio d’acqua cristallina sulla superficie, con righe di assorbimento del ghiaccio più forti nell’emisfero di testa che in quello di coda. La causa di questa asimmetria non è nota, ma potrebbe essere correlata al bombardamento da parte di particelle cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano, che è più forte sull’emisfero di coda. Le particelle energetiche tendono a polverizzare il ghiaccio d’acqua, decompongono il metano intrappolato nel ghiaccio come clatrato idrato ed oscurano altre sostanze organiche, lasciando un residuo ricco di carbonio.

A parte il ghiaccio d’acqua, l’unico altro composto identificato sulla superficie di Ariel dalla spettroscopia infrarossa è il biossido di carbonio (CO2), che si concentra soprattutto nell’emisfero di coda. Tra i satelliti di Urano, Ariel mostra la maggiore evidenza spettroscopica del CO2 ed è stato il primo su cui è stato scoperto questo composto. L’origine del biossido di carbonio non è del tutto chiara. Potrebbe essere prodotto localmente da carbonati o materiali organici sotto l’influenza delle particelle energetiche cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano o dalla radiazione solare ultravioletta. Un’altra fonte possibile è il degassamento di CO2 primordiale intrappolato dal ghiaccio d’acqua all’interno di Ariel. La fuoriuscita di CO2 dall’interno può essere correlata alla passata attività geologica della luna.

Data la sua dimensione, la composizione di roccia/ghiaccio e la possibile presenza di sale o ammoniaca in soluzione per abbassare il punto di congelamento dell’acqua, l’interno di Ariel può essere differenziato in un nucleo roccioso circondato da un mantello ghiacciato. Se questo è il caso, il raggio del nucleo (372 km) è circa il 64% del raggio della luna, e la sua massa è circa il 56% della massa della luna; i parametri sono dettati dalla composizione della luna. La pressione nel centro di Ariel è di circa 0,3 GPa (3 kbar). Lo stato del mantello ghiacciato non è chiaro, anche se l’esistenza di un oceano sotterraneo è ritenuta improbabile.

Albedo e colore

Ariel è il più luminoso dei satelliti di Urano. La sua superficie mostra un effetto di opposizione: la riflettività diminuisce dal 53% ad un angolo di fase di 0° (albedo geometrica) al 35% con un angolo di circa 1°. L’albedo di Bond di Ariel è di circa il 23%, la più alta tra i satelliti di Urano. La superficie di Ariel è generalmente di colore neutro. Ci può essere una asimmetria tra l’emisfero di testa e quello di coda, con questo che sembra essere più rosso del primo del 2%. La superficie di Ariel generalmente non mostra alcuna correlazione tra albedo e geologia da un lato e colore dall’altro. Ad esempio, i canyon hanno lo stesso colore del terreno craterizzato. Tuttavia, i depositi chiari da impatto attorno ad alcuni crateri recenti sono di colore leggermente più blu. Ci sono anche alcuni punti leggermente blu che non corrispondono ad alcuna caratteristica nota della superficie.

Caratteristiche della superficie

La superficie di Ariel mostra all’osservazione tre tipi di terre: crateri, rilievi e pianure. Le principali strutture geologiche sono i crateri da impatto, i canyon, le scarpate di faglia, le creste e le depressioni.

La terra di crateri, una superficie ondulata ricoperta di numerosi crateri da impatto che circonda il polo sud di Ariel, è la più antica e più estesa unità geologica. È attraversata da una rete di scarpate di faglia, di canyon (graben) e di creste scoscese soprattutto alle medie latitudini dell’emisfero meridionale. I canyon, conosciuti anche come chasmata, rappresentano probabilmente graben formatisi attraverso processi tettonici, derivanti da sollecitazioni provocate dal congelamento di acqua (o di ammoniaca acquosa) all’interno della luna. Sono larghi 15–50 km e si estendono in direzione est o nord-est. Il fondo di parecchi canyon è convesso e si eleva di 1–2 km. A volte il fondo è separato dalle pareti del canyon da scanalature di circa 1 km di larghezza. I graben più ampi hanno delle scanalature (chiamate valles) che scorrono lungo le creste dei loro fondi convessi. Il canyon più lungo è il Chasma Kachina, di oltre 620 km (si estende fino nell’emisfero di Ariel che Voyager 2 non ha visto illuminato).

struttura dei graben con il fondo ricoperto di materiali lisci, probabilmente estrusi da fenomeni di criovulcanismo

La seconda tipologia di terra, quella di rilievi, consiste in strisce di creste e di avvallamenti che si estendono per centinaia di chilometri. I rilievi delimitano la terra di crateri e la tagliano in poligoni. All’interno di ogni striscia (larga fino a 25–70 km), ci sono singole creste e avvallamenti lunghi fino a 200 km di e distanti tra loro da 10 a 35 km. Queste strisce sono spesso continuazioni di canyon, suggerendo che potrebbero essere una forma modificata di graben oppure il risultato di una reazione diversa della crosta alle stesse sollecitazioni.

Le terre più recenti osservate su Ariel sono le pianure: zone relativamente basse e lisce che devono essersi formate in un lungo periodo di tempo, a giudicare dalla diversità dei loro crateri. Le pianure si trovano sul fondo di canyon e, in qualche depressione irregolare, nel mezzo di terreno craterizzato. In quest’ultimo caso sono separati dal terreno craterizzato da confini netti, che in alcuni casi si presentano in forma lobata. L’origine più probabile delle pianure è attraverso processi vulcanici; la geometria lineare delle loro bocche, le fanno assomigliare ai vulcani terrestri a scudo, e i margini topografici distinti indicano che il liquido eruttato era molto viscoso, forse una soluzione acqua-ammoniaca super-raffreddata, oppure si tratta di vulcanismo di ghiaccio solido. Lo spessore di questi ipotetici flussi di criolava è stimato nell’ordine di 1–3 km. I canyon si devono quindi essere formati in un tempo in cui la ripavimentazione endogena della superficie era ancora in corso su Ariel.

Ariel sembra essere uniformemente craterizzato rispetto ad altre lune di Urano; la relativa scarsità di crateri estesi indica che la sua superficie non risale alla formazione del Sistema Solare: ciò significa che Ariel, ad un certo punto della sua storia, deve essere stato completamente “riasfaltato”. Si pensa che la passata attività geologica di Ariel sia stata influenzata dalle forze di marea in un momento in cui la sua orbita era più eccentrica rispetto a quella misurata per la prima volta. Il cratere più esteso su Ariel, Yangoor, è largo solo 78 km, e mostra i segni di una deformazione successiva. Tutti i grandi crateri di Ariel hanno fondi appiattiti e picchi centrali, e alcuni sono circondati da depositi luminosi di materiale espulso. Molti crateri sono poligonali, il che indica che il loro aspetto è stato influenzato dalla preesistente struttura crostale. Nelle pianure craterizzate ci sono macchie chiare di grandi dimensioni (circa 100 km di diametro), che potrebbero essere crateri da impatto degradati. Se questo è il caso, sarebbero simili ai palinsesti su Ganimede. Si pensa che una depressione circolare di 245 km di diametro situata a 10°S 30°E sia una struttura da impatto estremamente degradata.

Origine ed evoluzione

Si ritiene che Ariel sia stato formato da un disco di accrescimento o nebulosa secondaria: un disco di gas e polvere esistente attorno a Urano per qualche tempo dopo la sua formazione o creato dal gigantesco impatto che molto probabilmente ha dato al pianeta la sua notevole inclinazione. La composizione precisa della nebulosa secondaria non è nota; tuttavia, la maggiore densità delle lune di Urano rispetto alle quelle di Saturno indica che potrebbe essere stata relativamente povera d’acqua. Significative quantità di carbonio e di azoto potrebbero essere state presenti sotto forma di monossido di carbonio (CO) e azoto molecolare (N2) al posto di metano e ammoniaca. Le lune formatesi in questa nebulosa conterrebbero meno ghiaccio d’acqua (con CO e N2 intrappolati come clatrato) e più roccia, spiegando così la densità più elevata.

Il processo di accrescimento durò probabilmente per diverse migliaia di anni. I modelli suggeriscono che gli impatti che accompagnarono l’accrescimento causarono il riscaldamento dello strato esterno di Ariel, raggiungendo una temperatura massima di circa 195 K ad una profondità di circa 31 km. Dopo la fine della formazione, lo strato di sottosuolo si raffreddò, mentre l’interno di Ariel si riscaldò a causa del decadimento di elementi radioattivi presenti nelle sue rocce. Lo strato raffreddato prossimo alla superficie si contrasse, mentre l’interno si espanse. Ciò causò forti tensioni interne nella crosta lunare, cosa che potrebbe aver portato a fessurazioni. Alcune scarpate di faglia e canyon potrebbero essere risultato di questo processo durato 200 milioni di anni.

Il riscaldamento iniziale dovuto all’accrescimento insieme con il continuo decadimento di elementi radioattivi e il probabile attrito mareale potrebbero aver portato alla fusione del ghiaccio se un antigelo come l’ammoniaca (sotto forma di idrato) o del sale fosse stato presente. La fusione potrebbe aver portato alla separazione del ghiaccio dalle rocce e alla formazione di un nucleo roccioso circondato da un mantello ghiacciato. Uno strato di acqua liquida (oceano) ricco di ammoniaca disciolta potrebbe essersi formato ai confini tra il nucleo e il mantello. La temperatura eutettica di questa miscela è di 176 K. L’oceano, tuttavia, è probabile che sia congelato da molto tempo. Il congelamento dell’acqua ha probabilmente portato all’espansione dell’interno, cosa che potrebbe aver causato la formazione dei canyon e l’obliterazione della superficie antica. Dall’oceano, i liquidi potrebbero essere stati in grado di eruttare in superficie, inondando il fondo dei canyon in un processo di criovulcanismo.

La modellazione termica di Dione, una luna di Saturno, simile ad Ariel per dimensioni, densità e temperatura della superficie, indica che la convezione di stato solido sarebbe potuta durare all’interno di Ariel per miliardi di anni, e che temperature superiori a 173 K (il punto di fusione dell’ammoniaca acquosa) potrebbero essere persistite in prossimità della sua superficie per diverse centinaia di milioni di anni dopo la formazione, e all’incirca un miliardo di anni nelle zone più vicine al nucleo.

L’osservazione e l’esplorazione

La magnitudine apparente di Ariel è di 14,4; simile a quella di Plutone nei pressi del perielio. Tuttavia, mentre Plutone può essere visto attraverso un telescopio di 30 cm di apertura, Ariel, a causa della vicinanza al bagliore di Urano, spesso non è visibile a telescopi con apertura di 40 cm.

la mappa di Ariel accertata con i criteri attualmente definiti dalla comunità scientifica internazionale

Le uniche immagini ravvicinate di Ariel sono state ottenute dalla sonda Voyager 2, che fotografò la luna nel corso del suo flyby di Urano con massimo avvicinamento di 127,000 km, inferiore rispetto alla distanza della sonda da tutte le altre lune di Urano ad eccezione di Miranda. Le migliori immagini di Ariel hanno una risoluzione spaziale di circa 2 km e coprono circa il 40% della superficie, di cui solo il 35% è stato fotografato con la qualità richiesta per la mappatura geologica e il conteggio dei crateri. Al momento del flyby l’emisfero meridionale di Ariel era rivolto verso il Sole, così che l’emisfero settentrionale non poté essere studiato. Nessun altro veicolo spaziale ha mai visitato il sistema di Urano, e nessuna missione è prevista verso Urano e le sue lune. La possibilità di inviare la Cassini verso Urano era stata valutata in  pianificazione per una possibile estensione della missione, ma ci sarebbero voluti una ventina d’anni per arrivare al sistema di Urano dopo essere partiti da Saturno.

Umbriel

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Umbriel ripreso dalla sonda Voyager 2

Superficie

Umbriel è caratterizzata dalla superficie più scura fra tutti i satelliti di Urano, riflettendo solo il 16% della luce che raggiunge la sua superficie, e risulta così la più scura delle lune di Urano in un processo ancora da chiarirsi. Ha un diametro di circa 1.200 km.

Uranus’ moon Umbriel

una mappa in falsi colori contrastati della superficie di Umbriel

La superficie del satellite è pesantemente craterizzata; la sua caratteristica più rilevante, nota con il nome di Wunda, è un grande anello di materiale brillante. Sembra naturale presumere che si tratti di un cratere, ma l’esatta natura della formazione è ancora incerta.

Struttura interna

Umbriel è la terza più grande e la quarta più massiccia luna di Urano con una densità di circa 1.39 g/cm^3, che indica una consistenza principalmente di ghiaccio d’acqua con una componente non di ghiaccio stimata intorno al 40% della sua massa. Questa massa non ghiacciata potrebbe essere roccia o materiale organico carbonaceo.
La presenza del ghiaccio d’acqua è stata rilevata anche da osservazioni spettroscopiche nell’infrarosso che hanno svelato come le bande di assorbimento del ghiaccio d’acqua sono molto più forti su uno degli emisferi (quello rivolto nella direzione dell’orbita intorno ad Urano) rispetto all’opposto. Il motivo di quest’asimmetria è sconosciuto ma potrebbe avere avuto a che fare con il continuo bombardamento di particelle cariche da parte della magnetosfera di Urano.

Orbita

Attualmente Umbriel non è coinvolto in alcuna risonanza orbitale con altri satelliti ma in passato potrebbe essere stato in risonanza 1:3 con Miranda e questo potrebbe aver contribuito a riscaldare l’interno della luna, causando qualche attività geologica. Ma dopo che Miranda è sfuggita alla risonanza, l’eccentricità dell’orbita di Umbriel è diminuita, eliminando la fonte di calore.

Uranus and Moons (Labeled)

Urano e le sue lune principali riprese dal telescopio ESO

Probabilmente Umbriel conserva intatto il registro di tutti gli impatti che ha subito nella sua storia, ma ci sono ancora anche i segni della sua attività geologica iniziale. Si possono ancora notare alcune tracce di poligoni e forme complesse lunghe centinaia di km, causate probabilmente dal movimento della crosta. Se ci fosse mai stato un oceano in passato, questo dovrebbe ormai essere ghiacciato da molto, anche se potrebbe essere durato abbastanza a lungo con all’interno quantità di ammoniaca molto alte. 

Per ragioni di brevità espositiva, preferiamo non ripetere molte caratteristiche delle lune di Urano che sono simili tra loro.

Titania

Titania è la più grande delle lune di Urano e, con un diametro di 1578 km, l’ottava del sistema solare. Scoperta da William Herschel nel 1787, Titania prende il nome dalla Regina delle Fate in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare.

Titania (moon) color.jpg

immagine di Titania ripresa dalla sonda Voyager 2

Titania è costituita da ghiaccio e roccia in misura all’incirca uguale, ed è probabilmente differenziata in un nucleo di roccia e un mantello di ghiaccio. Uno strato di acqua liquida potrebbe essere presente al confine tra nucleo e mantello. La superficie di Titania (piuttosto scura e leggermente rossa) sembra essere stata modellata sia da impatti che da processi endogeni. È coperta da numerosi crateri da impatto che raggiungono i 326 km di diametro, ma in misura minore rispetto alla superficie della luna più esterna di Urano, Oberon. Titania probabilmente ha subito un precoce evento di ripavimentazione endogena che ha modificato la sua vecchia superficie molto craterizzata. La superficie di Titania è attraversata da un sistema di enormi canyon e scarpate, come risultato dell’espansione del suo interno durante le ultime fasi della sua evoluzione. Come tutte le lune maggiori di Urano, Titania si è probabilmente formata da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione.

L’immagine a più alta risoluzione di Titania ripresa da Voyager 2 mostra pianure moderatamente craterizzate, enormi fratture e lunghe scarpate. Nella parte inferiore, una regione di pianure più lisce è attraversata dal graben Belmont Chasma.

La spettroscopia agli Infrarossi condotta dal 2001 al 2005 ha rivelato la presenza di ghiaccio d’acqua e di anidride carbonica ghiacciata sulla superficie di Titania, il che indica che la luna potrebbe possedere una tenue atmosfera di anidride carbonica con una pressione superficiale di circa un decitrilionesimo di bar. Misurazioni della pressione superficiale durante l’occultazione di una stella da parte di Titania hanno stabilito un limite superiore di 10-20 nbar.

Orbita

Titania orbita Urano a una distanza di circa 436.000 km ed è, tra le sue cinque lune principali, la seconda più lontana dal pianeta. L’orbita di Titania è poco eccentrica e pochissimo inclinata rispetto all’equatore di Urano. Il suo periodo orbitale è di 8,7 giorni circa, e coincide con il suo periodo di rotazione, quindi Titania è un satellite in rotazione sincrona, con un lato sempre rivolto verso il pianeta.

la foto a più ampia risoluzione della Voyager 2 della superficie di Titania

L’orbita di Titania si trova completamente all’interno della magnetosfera di Urano. Ciò è importante, perché gli emisferi di coda dei satelliti in orbita all’interno di una magnetosfera vengono colpiti dal plasma della magnetosfera, che è in rotazione con il pianeta. Questo bombardamento può comportare l’oscuramento degli emisferi di coda, fatto che si verifica per tutte le lune di Urano, ad eccezione di Oberon.

Poiché Urano orbita intorno al Sole quasi su un fianco, e le sue lune orbitano nel piano equatoriale del pianeta, esse (tra cui Titania) sono soggette ad un ciclo stagionale estremo. Entrambi i poli trascorrono 42 anni in un buio completo, e altri 42 anni alla luce solare continua, con il Sole che sorge vicino allo zenit su uno dei poli ad ogni solstizio. Il sorvolo ravvicinato di Voyager 2 coincise con il solstizio d’estate dell’emisfero meridionale nel 1986, quando quasi tutto l’emisfero settentrionale non era illuminato. Una volta ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale interseca la Terra, diventano possibili mutue occultazioni dei satelliti di Urano. Nel 2007-2008 furono osservati alcuni eventi di questo tipo, tra cui due occultazioni di Titania da parte di Umbriel, il 15 agosto e l’8 dicembre 2007.

Composizione e struttura interna

Titania è la luna più grande e più massiva di Urano, l’ottava luna del Sistema Solare per massa. La sua densità di 1,71 g/cm3, molto superiore alla densità media dei satelliti di Saturno, indica che è composta in proporzioni quasi uguali di ghiaccio d’acqua e di dense componenti non ghiacciate, forse roccia e materiale carbonioso, tra cui composti organici pesanti. La presenza di ghiaccio d’acqua cristallino sulla superficie della luna è supportata da osservazioni spettroscopiche a raggi infrarossi fatte nel 2001-2005. Le bande di assorbimento del ghiaccio d’acqua sono un po’ più forti sull’emisfero di testa che sull’emisfero di coda, il contrario di ciò che si osserva su Oberon, dove l’emisfero di coda presenta maggiori evidenze di ghiaccio d’acqua. La causa di questa asimmetria non è conosciuta, ma potrebbe essere correlata al bombardamento di particelle cariche della magnetosfera di Urano, che è più intenso nell’emisfero di coda (a causa della co-rotazione del plasma). Le particelle energetiche tendono a erodere il ghiaccio, a decomporre il metano intrappolato nel ghiaccio sotto forma di idrato clatrato e a scurire altri composti organici, lasciandosi dietro un residuo scuro ricco di carbonio.

A parte l’acqua, l’unico altro composto identificato sulla superficie di Titania mediante spettroscopia infrarossa è l’anidride carbonica, concentrata principalmente nell’emisfero di coda. L’origine del biossido di carbonio non è completamente chiara. Potrebbe essere prodotta localmente da carbonati o materiali organici sotto l’influenza della radiazione ultravioletta solare o delle particelle cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano. Quest’ultimo processo spiegherebbe l’asimmetria nella sua distribuzione, poiché l’emisfero di coda è soggetto a una più intensa influenza magnetosferica rispetto a quello di testa. Un’altra fonte possibile è il degassamento del CO2 primordiale intrappolato dal ghiaccio d’acqua all’interno di Titania. La fuga di CO2 dall’interno potrebbe essere correlata alla passata attività geologica su questa luna.

Titania potrebbe essere differenziata in un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. Se questo è il caso, il raggio del nucleo di 520 km è circa il 66% del raggio della luna, e la sua massa è circa il 58% della massa totale; le proporzioni sono dettate dalla composizione della luna. La pressione al centro di Titania è di circa 0,58 GPa (5,8 kbar). L’attuale stato del manto ghiacciato non è chiaro. Se il ghiaccio contenesse sufficiente ammoniaca o altro antigelo, Titania potrebbe possedere uno strato di oceano liquido al confine nucleo-mantello. Lo spessore di questo oceano, ammesso che esista, può arrivare fino a 50 chilometri e la sua temperatura è di 190 K circa. C’è da notare tuttavia che la struttura interna di Titania dipende in larga misura dalla sua storia termica, attualmente poco conosciuta.

Caratteristiche della superficie

Tra le lune di Urano, Titania è di luminosità intermedia tra gli oscuri Oberon e Umbriel e i luminosi Ariel e Miranda. La sua superficie si presenta con un forte effetto di opposizione: il suo potere riflettente diminuisce dal 35% ad un angolo di fase di 0° (albedo geometrica) al 25% ad un angolo di circa 1°. Titania ha un’albedo di Bond piuttosto bassa, circa il 17%. La sua superficie è per lo più rossastra, meno comunque rispetto a quella di Oberon. Tuttavia, i più recenti depositi da impatto danno maggiormente sul blu, mentre le pianure lisce situate nell’emisfero di testa vicino al cratere Ursula e lungo alcuni graben sono un po’ più rosse. Potrebbe esserci un’asimmetria cromatica tra gli emisferi testa e di coda con il primo più rosso del secondo dell’8%. Tuttavia, questa differenza è collegata alle pianure lisce e potrebbe essere casuale. L’arrossamento delle superfici probabilmente dipende dalla meteorologia spaziale causata da bombardamenti di particelle cariche e di micro meteoriti in un arco di tempo dell’età del sistema solare. Tuttavia, l’asimmetria cromatica di Titania probabilmente è più relativa all’accrescimento di materiale rossastro proveniente da parti esterne al sistema di Urano, forse da satelliti irregolari, che si sarebbe depositato prevalentemente sull’emisfero di testa.

The right half of a round spherical body that is illuminated. The terminator runs along the right edge. A large crater with a central pit can be seen at the terminator in the upper half of the image. A large canyon runs from the darkness at the lower-right side to visible center of the body.

il Messina Chasma

Gli scienziati hanno classificato tre caratteristiche geologiche su Titania: crateri, chasmata (canyon) e rupes (scarpate). La superficie di Titania è molto meno craterizzata di quelle di Oberon e di Umbriel, il che significa che è molto più giovane. Il diametro dei crateri varia da pochi chilometri a 326 km per il più grande, il cratere Gertrude. Alcuni crateri (ad esempio, Ursula e Jessica) sono circondati da materiale espulso (ejecta) luminoso, raggiere di ghiaccio relativamente fresco. Tutti i grandi crateri di Titania presentano fondi piatti e picchi centrali, a parte Ursula che ha un pozzo al centro. A ovest di Gertrude c’è una zona con topografia irregolare, il cosiddetto “bacino senza nome”, che potrebbe essere un altro bacino da impatto fortemente degradato con un diametro di circa 330 chilometri.

sopra Proiezione piana della superficie mappata di Titania

sotto Proiezione stereografica dell’emisfero sud

La superficie di Titania è attraversata da un sistema di enormi faglie, o scarpate. In alcuni luoghi, due scarpate parallele segnano depressioni nella crosta del satellite, con la formazione di graben, a volte chiamati canyon. Il più importante tra i canyon di Titania è Messina Chasmata, che si estende per circa 1.500 chilometri dall’equatore fin quasi al polo sud. I graben su Titania sono larghi 20–50 km con una profondità di 2–5 km circa. Le scarpate non collegate a canyon si chiamano Rupes, come Rousillon Rupes vicino al cratere Ursula. Le regioni lungo alcune scarpate e vicino a Ursula appaiono lisce alla risoluzione delle immagini di Voyager. Queste pianure lisce sono state probabilmente ripavimentate successivamente nella storia geologica di Titania, dopo la formazione della maggior parte dei crateri. La ripavimentazione potrebbe essere stata sia di natura endogena, con eruzione di materiale fluido dall’interno (criovulcanismo), oppure dovuta alla copertura da parte del materiale espulso dai vicini crateri di grandi dimensioni. I graben sono probabilmente gli elementi geologici più giovani su Titania: essi intersecano tutti i crateri e le pianure lisce.

The terminator region of Titania, one of Uranus' five large moons, was captured in this Voyager 2 image obtained in the early morning hours of Jan. 24, 1986.

alcuni dettagli ingranditi della superficie della regione terminale di Titania

La geologia di Titania è stata influenzata da due forze concorrenti: la formazione di crateri da impatto e la ripavimentazione endogena. La prima ha agito durante tutta la storia della luna e ha influenzato tutte le superfici. Anche i processi della seconda sono stati di natura globale, ma attivi soprattutto per un periodo successivo alla formazione della luna. Essi hanno cancellato il terreno originale molto craterizzato, spiegando così il numero piuttosto basso di crateri da impatto sulla attuale superficie. Ulteriori episodi di ripavimentazione potrebbero essersi verificati successivamente portando così alla formazione di pianure lisce. In alternativa le pianure lisce possono essere coperture di materiale espulso dai crateri nelle vicinanze. I processi endogeni più recenti sono stati soprattutto di natura tettonica e hanno causato la formazione dei canyon, che sono in realtà crepe giganti della crosta di ghiaccio. La rottura della crosta è stata causata dall’espansione globale di Titania dello 0,7% circa.

Atmosfera

La presenza di anidride carbonica sulla superficie indica che Titania potrebbe avere una tenue atmosfera stagionale di CO2, molto simile a quella della luna gioviana Callisto. È poco probabile che siano presenti altri gas, come azoto o metano, in quanto la debole gravità della luna non avrebbe potuto impedire loro di disperdersi nello spazio. Alla temperatura massima raggiungibile durante il solstizio d’estate di Titania (89 K), la pressione di vapore di anidride carbonica è di 3 nbar circa. L’8 settembre 2001, Titania occultò una stella (HIP106829) con magnitudine apparente di 7,2; fu questa l’occasione per determinare con più precisione il diametro della luna, le sue effemeridi e di rilevare l’esistenza di un’eventuale atmosfera. I dati non hanno rivelato alcuna atmosfera ad una pressione superficiale di 10-20 nanobars; se esistesse, dovrebbe essere molto più sottile di quella di Tritone o di Plutone.

La particolare geometria del sistema di Urano determina che i poli delle lune ricevano più energia solare rispetto alle loro regioni equatoriali. Poiché la pressione di vapore della CO2 aumenta rapidamente con la temperatura, ciò potrebbe portare all’accumulo di anidride carbonica nelle regioni a bassa latitudine, dove essa potrebbe trovarsi stabilmente in zone ad elevata albedo e in regioni ombreggiate della superficie sotto forma di ghiaccio. Durante l’estate, quando le temperature polari raggiungono anche 85-90 K, l’anidride carbonica sublima migrando verso il polo opposto e verso le regioni equatoriali, dando luogo a una specie di ciclo del carbonio. L’anidride carbonica ghiacciata può essere eliminata dalle zone fredde dove si è accumulata dalle particelle della magnetosfera, che la rimuovono dalla superficie. Si ritiene che Titania abbia perso una notevole quantità di anidride carbonica dalla sua formazione 4,6 miliardi anni fa.

Origine ed evoluzione

Si ritiene che Titania si sia formata per accrescimento nella sub-nebulosa di Urano, un disco di gas e polvere che era presente attorno a Urano per qualche tempo dopo la sua formazione, oppure creato da un impatto gigantesco che molto probabilmente ha dato a Urano la sua elevata obliquità. La precisa composizione della nebulosa non è conosciuta, tuttavia, la densità piuttosto alta di Titania e di altre lune di Urano rispetto alle lune di Saturno indica che era povera d’acqua. Significative quantità di azoto e di carbonio potrebbero essere state presenti sotto forma di monossido di carbonio e N2 al posto di ammoniaca e metano. Le lune che si formarono in questa nebulosa contenevano meno ghiaccio d’acqua (con CO e N2 intrappolati come clatrato) e più roccia, determinando così la maggiore densità.

L’accrescimento di Titania probabilmente durò per diverse migliaia di anni. Gli impatti che accompagnarono l’accrescimento causarono il riscaldamento dello strato esterno della luna. La temperatura massima di circa 250 K (-23°), è stata raggiunta a una profondità di 60 chilometri circa. Dopo la fine della formazione, lo strato sotto la superficie si raffreddò, mentre l’interno di Titania si riscaldò a causa del decadimento di elementi radioattivi presenti nelle rocce. Lo strato freddo in prossimità della superficie si contrasse, mentre l’interno si espanse. Ciò causò forti tensioni distensive nella crosta lunare che portarono a fratture. Alcuni degli attuali canyon potrebbero essere il risultato di questo processo durato per circa 200 milioni di anni, il che significa che ogni attività endogena ebbe fine miliardi di anni fa.

Il riscaldamento iniziale dovuto all’accrescimento insieme con il continuo decadimento di elementi radioattivi erano probabilmente abbastanza forti da fondere il ghiaccio in presenza di anticongelanti come ammoniaca (sotto forma di idrato) o sale. Successive fusioni potrebbero aver determinato la separazione del ghiaccio dalla roccia e la formazione di un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. Uno strato di acqua liquida (oceano) ricco di ammoniaca disciolta potrebbe aver formato la zona di confine tra il nucleo e il mantello. La temperatura eutettica di questa miscela è 176 K (-97°). Se la temperatura fosse scesa al di sotto di questo valore, l’oceano si sarebbe successivamente congelato. Il congelamento dell’acqua avrebbe causato l’espansione dell’interno, che potrebbe essere stata responsabile della formazione della maggior parte dei canyon. C’è da tener presente che l’attuale conoscenza dell’evoluzione geologica di Titania è piuttosto limitata.

Esplorazione

Finora le uniche immagini ravvicinate di Titania sono state riprese dalla sonda Voyager 2, durante il flyby di Urano. Poiché la distanza minima tra il Voyager 2 e Titania era solo di 365.200 km, le migliori immagini di questa luna hanno una risoluzione spaziale di circa 3,4 km (solo Miranda e Ariel sono stati ripresi con una risoluzione maggiore). Le immagini coprono circa il 40% della superficie, ma solo il 24% è stato fotografato con la precisione richiesta dalla cartografia geologica. Al momento del sorvolo ravvicinato, l’emisfero meridionale di Titania (come quello delle altre lune) era puntato verso il Sole, così che l’emisfero nord era al buio e pertanto non poté essere studiato.

Oberon 

Oberon è il più esterno dei satelliti di Urano. Il nome deriva dalla commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate, in cui Oberon è il re delle fate.

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immagine di Oberon ripresa dalla Voyager 2; sul bordo inferiore sinistro è visibile una prominenza alta oltre 6000m

Orbita

Oberon orbita intorno ad Urano ad una distanza media di 584.000 km ed è così il più lontano dei cinque satelliti principali del pianeta. La sua orbita è caratterizzata da una modesta eccentricità e inclinazione orbitale rispetto all’equatore di Urano ed il suo periodo orbitale è di circa 13,5 giorni, coincidente con il suo periodo di rivoluzione; pertanto la sua orbita è in rotazione sincrona, con la conseguenza di mostrare sempre la stessa faccia al suo pianeta.

Le dimensioni di Urano e dei suoi satelliti: da sinistra, Puck, Miranda, Ariel, Umbriel, Titania, Oberon. (Composizione dalle foto di Voyager 2)

L’orbita di Oberon rimane per una parte significativa del suo percorso al di fuori della magnetosfera di Urano, per cui la sua superficie viene direttamente colpita dal vento solare. Il sorvolo del Voyager 2 è coinciso con il solstizio estivo del 1986 dell’emisfero meridionale e pertanto l’intero emisfero settentrionale non era illuminato. Ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale intersca quello terrestre, è possibile l’occultazione reciproca dei suoi satelliti. Un evento di questo tipo è stato osservato il 4 maggio 2007 quando Oberon ha occultato Umbriel.

Composizione e struttura interna

Oberon è per dimensioni il secondo satellite di Urano, dopo Titania, e il decimo del sistema solare (dopo Ganimede, Titano, Callisto, Io, la nostra Luna, Europa, Tritone, Titania e Rea). La sua densità è di 1,63 g/cm3, più alta della densità tipica dei satelliti di Saturno, indicando che è costituito in proporzioni circa uguali di ghiaccio d’acqua e altri elementi non ghiacciati e più densi, tra cui rocce e materiali ricchi in carbonio inclusi i composti organici.

 
Immagine in falsi colori di Oberon, elaborata al computer. La regione in bianco è quella non fotografata dalla sonda Voyager 2. Il grande cratere centrale con il fondo scuro è Amleto; alla sua sinistra il cratere Otello mentre la Mommur Chasma si trova in alto a sinistra

La presenza di ghiaccio d’acqua è supportata da osservazioni spettroscopiche che hanno rivelato la presenza di cristalli di ghiaccio sulla superficie del satellite. La presenza di bande di assorbimento dell’acqua è più forte nell’emisfero anteriore che in quello posteriore, che è l’esatto contrario di quello che avviene sugli altri satelliti di Urano. La causa di questa asimmetria non è nota, ma potrebbe essere legata agli effetti di modifica del suolo conseguenti ad impatti meteoritici, che normalmente sono più diffusi sull’emisfero anteriore e che disperdono il ghiaccio della superficie lasciandosi dietro una fascia più scura di materiale non ghiacciato. Il materiale scuro potrebbe essere il risultato dell’effetto della radiazione sui clatrati di metano o di oscurimento dei composti organici a causa dell’irraggiamento.

Oberon-NASA names en

alcune delle evidenze morfologiche di superficie di Oberon

È possibile che in Oberon si sia differenziato un nucleo interno roccioso circondato da un mantello ghiacciato. In questo caso il raggio del nucleo (480 km) corrisponderebbe al 63% del raggio del satellite e la sua massa sarebbe il 54% di quella totale (i valori sono calcolati in base alla composizione del satellite). La pressione al centro di Oberon è di circa 0,5 GPa (5 kbar). Lo stato attuale del mantello ghiacciato non è ancora chiaro. Se il ghiaccio contiene abbastanza ammoniaca o un altro anticongelante, Oberon potrebbe possedere uno strato liquido al confine tra il nucleo e il mantello. Lo spessore di questo oceano, sempre che esista, potrebbe raggiungere i 40 km e la sua temperatura i 180 K. È da notare tuttavia che la struttura interna di Oberon dipende fortemente dalla sua storia termica, attualmente poco conosciuta.

Superficie

Possiede una superficie ghiacciata e ricoperta di crateri, che non mostra tracce evidenti di attività tettonica, a parte la presenza di alcuni materiali scuri che sembrano ricoprire la superficie di alcuni crateri. Possiede almeno una montagna molto alta che raggiunge i 6000m di altitudine, una altezza pari a 7,8 millesimi del raggio del satellite di gran lunga superiore ai 1.4 millesimi del raggio terrestre che raggiunge l’Everest.

Voyager 2 close-up of Oberon features

un particolare della superficie di Oberon scattato dalla Voyager 2

Oberon è il secondo satellite più scuro di Urano dopo Umbriel. La sua superficie mostra un forte effetto di opposizione: la sua riflettività decresce da un’albedo del 31% a un angolo di fase 0° fino al 22% ad un angolo di circa 1°. Oberon ha una bassa albedo di Bond, attorno al 14%. La sua superficie è generalmente rossastra, tranne che nei depositi da impatti recenti che sono di colore neutro o bluastro. Oberon è infatti il più rosso tra i satelliti maggiori di Urano.

I suoi emisferi anteriore e posteriore sono asimmetrici nella colorazione: il secondo appare più rosso del primo perché contiene più materiale rosso scuro. L’arrossamento della superficie è spesso collegato all’erosione spaziale causata dal bombardamento della superficie da parte di particelle e micrometeoriti che hanno l’età del sistema solare. L’asimmetria di colore di Oberon è però più probabilmente collegata all’accrezione di materiale rossastro che spiraleggia dalle zone esterne del sistema di Urano, presumibilmente dai satelliti irregolari, e influisce soprattutto sull’emisfero anteriore.

Gli studiosi hanno identificato due classi di caratteristiche geologiche su Oberon: crateri da impatto e chasmata (profondi canyon o depressioni, come le fosse tettoniche o le scarpate terrestri). La superficie di Oberon è la più craterizzata tra tutti i satelliti di Urano, con una densità di crateri che si approssima alla saturazione, cioè al punto in cui la formazione di nuovi crateri è bilanciata dalla distruzione di quelli più vecchi. Questa elevata craterizzazione indica che Oberon ha la superficie più antica tra i satelliti di Urano. Il diametro dei crateri arriva fino ai 206 km di Amleto, il più grande tra i crateri conosciuti. Da alcuni dei crateri maggiori si dipartono raggi di materiale espulso più chiaro che consiste principalmente di ghiaccio depositatosi in tempi recenti. Il fondo dei crateri maggiori come Amleto, Otello e Macbeth è coperto di materiale molto scuro depositatosi dopo la loro formazione.

Un picco alto circa 11 km è stato osservato in alcune immagini del Voyager vicino al bordo esterno meridionale di Oberon; potrebbe trattarsi del picco centrale di un grande bacino da impatto largo circa 375 km. La superficie di Oberon è intersecata da un sistema di canyon, che sono tuttavia meno diffusi di quelli trovati su Titania. Le fiancate dei canyon sono delimitate dalle normali scarpate (alcune definibili come graben), alcune delle quali appaiono antiche, altre recenti: su queste ultime sono presenti depositi brillanti provenienti da grandi crateri, indicanti che la loro formazione è recente. Il chasma più imponente è il Mommur Chasma.

La geologia di Oberon è stata influenzata da forze contrapposte: la formazione di crateri da impatto e il rimodellamento della superficie provocato da effetti endogeni. La prima è stata attiva durante l’intera vita del satellite ed è la principale responsabile del suo aspetto odierno. I processi endogeni, di natura tettonica, sono stati attivi per un periodo successivo alla formazione del satellite e hanno portato alla formazione dei canyon, risultanti da fessurazioni della crosta ghiacciata, che hanno in parte cancellato la vecchia superficie. La fessurazione della crosta è stata causata da un’espansione di Oberon dello 0,5% avvenuta in due fasi corrispondenti ai vecchi e nuovi canyon.

La natura delle chiazze scure, presenti soprattutto nell’emisfero anteriore e all’interno dei crateri, non è ben nota. Secondo alcuni esse sono di origine criovulcanica, mentre altri ritengono che gli impatti abbiano portato in superficie del materiale più scuro interrato al di sotto della crosta ghiacciata. Nel secondo caso Oberon dovrebbe essere almeno parzialmente differenziato, con la crosta ghiacciata disposta al di sopra dell’interno non differenziato.

Esplorazione

Le uniche immagini ravvicinate di Oberon sinora disponibili provengono dalla sonda Voyager 2, che ha fotografato la superficie del satellite nel corso del suo fly-by del sistema di Urano, il 24 gennaio 1986. La distanza minima di avvicinamento della sonda è stata di 470.600 km ed ha permesso di ottenere immagini con una risoluzione massima di circa 6 km. Le immagini coprono circa il 40% della superficie, ma solo per il 25% di essa è stato possibile ottenere una risoluzione sufficiente per produrre una mappatura geologica del satellite. All’epoca del sorvolo infatti l’emisfero meridionale di Oberon era rivolto verso il Sole, cosicché l’emisfero settentrionale risultava troppo scuro per poter essere studiato.

Miranda

Miranda è il più piccolo ed interno satellite di Urano tra le cinque lune maggiori. Scoperto da Gerard Kuiper il 16 febbraio 1948 dall’osservatorio McDonald. È designato anche Urano V. Ad oggi, le uniche immagini ravvicinate di Miranda provengono dalla sonda spaziale Voyager 2. È stato fotografato e quindi studiato soltanto l’emisfero meridionale della luna, perché illuminato dalla luce solare durante l’incontro. È stata una fortunata coincidenza che la luna fosse l’oggetto a minor distanza, circa 30.000 km dalla sonda, dato che si è rivelato l’oggetto più interessante nel sistema di Urano: le immagini riprese, infatti, rivelano una passata attività geologica nettamente superiore a quella che ha interessato le altre lune del pianeta. Il Voyager 2 ha dovuto avvicinarsi il più possibile ad Urano per avere la spinta necessaria a raggiungere Nettuno, questo ha permesso di avere immagini con risoluzione, della superficie di Miranda, di alcune centinaia di metri.

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Polo Sud di Miranda ripreso dal Voyager 2 da 480 km ad una risoluzione di 2.7 km

La superficie sembra essere composta da ghiaccio d’acqua mista a composti di silicati e carbonati, con presenza anche di ammoniaca. Come le altre lune di Urano, la sua orbita giace su un piano perpendicolare all’orbita del pianeta attorno al Sole, e come il pianeta è quindi soggetta a variazioni stagionali estreme.

Come altre lune di Urano, Miranda si formò probabilmente da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione, o dopo l’evento catastrofico che ha prodotto la sua insolita inclinazione. Tuttavia, Miranda è inclinata di 4,338° rispetto al piano dell’equatore di Urano, e si tratta dell’inclinazione più marcata tra le principali lune uraniane. Miranda sarebbe potuta essere solo una piccola luna inerte ghiacciata ricoperto di crateri da impatto, invece le immagini della Voyager mostrarono un mondo dalla superficie sorprendentemente variegata e unica, un mosaico di diverse aree dalle differenti caratteristiche, con vaste pianure ondulate costellate da crateri e attraversate da una rete di faglie ripide e rupes. Questa zona ha tre coronae impressionanti, il cui diametro è superiore ai 200 km. Queste formazioni geologiche e l’inclinazione anomala dell’orbita suggeriscono una storia passata e un’attività geologica complessa. La geologia di Miranda pare sia stata caratterizzata dalle forze di marea, dalle risonanze orbitali, da una parziale differenziazione planetaria e da movimenti di convezione, dall’espansione del suo mantello e da episodi di criovulcanismo.

Missioni spaziali

Come detto, le uniche immagini ad alta risoluzione di Miranda sono state scattate dalla sonda spaziale Voyager 2, che fotografò il satellite ad una distanza minima da Miranda di circa 30.000 km, distanza notevolmente inferiore rispetto a quella tra la sonda e le altre lune uraniane. Le migliori immagini di Miranda hanno così una risoluzione 500 m, sufficiente per poter compilare una carta geologica e per poter contare i crateri. Al momento del sorvolo, l’emisfero meridionale di Miranda (come quello delle altre lune) era puntato verso il Sole, quindi l’emisfero settentrionale (immerso nelle tenebre) non poteva essere studiato. Nessun altro veicolo spaziale ha mai più visitato Urano (e Miranda). Il programma Uranus orbiter and probe, proposto dalla NASA nel 2011 prevede il lancio per gli anni 2020-2023, e potrebbe approfondire la conoscenza dei satelliti di Urano. La missione era il terzo programma a più alta priorità degli anni 2013-2022, ma è tuttavia stato messo in attesa perché a priorità più bassa rispetto a quelli per Marte ed Europa, la luna di Giove.

Un particolare della Verona Rupes, alta 20 km, la più alta scogliera del Sistema solare.

Parametri orbitali

Trovandosi ad una distanza di circa 129.900 km da Urano, Miranda è il più vicino al pianeta tra i suoi principali satelliti. L’orbita è significativamente inclinata rispetto al piano orbitale di Urano e anche la sua eccentricità è un ordine di grandezza superiore rispetto a quella delle altre lune principali di Urano. Queste caratteristiche orbitali potrebbero essere la conseguenza di risonanze orbitali avute in passato con altre lune di Urano: Miranda avrebbe potuto essere risonanza 3: 1 con Umbriel e forse in risonanza 5: 3 con Ariel. Urano è leggermente schiacciato ai poli ed è anche meno nutrito di satelliti rispetto a Giove e Saturno, pertanto, le sue lune possono più facilmente sfuggire alle forze gravitazionali che mantengono le risonanze costante nel tempo. La sua eccentricità e soprattutto la sua singolare inclinazione orbitale potrebbero essere nate quando Miranda sfuggì a queste risonanze.

Miranda è in rotazione sincrona con Urano, infatti il periodo orbitale di Miranda è di 1.413 giorni terrestri e coincide con il periodo di rotazione quindi la luna volge sempre lo stesso emisfero verso il pianeta. Tuttavia, l’orientamento degli emisferi e di conseguenza dei poli geografici non sono sempre stati quelli osservati dalla Voyager 2 durante il suo passaggio, ma è stata rivelata l’esistenza di un antico orientamento.

Composizione e struttura interna

Vi è una netta distinzione tra i diversi satelliti in base alla loro forma e alle loro dimensioni. Satelliti aventi un diametro superiore ai 400 km sono di forma sferica e l’altezza dei rilievi è quindi trascurabile rispetto alle dimensioni, e con una raggio medio di 235 km, Miranda è vicino a questo limite. È il meno denso dei principali satelliti di Urano, con una densità di (1,15 ± 0,15) g/cm³ è simile a quello del ghiaccio d’acqua. Osservazioni all’infrarosso suggeriscono che la superficie sia composta da ghiaccio d’acqua misto a composti di silicati e carbonati. Le stesse osservazioni superficiali suggeriscono anche la presenza di ammoniaca (NH3) in una percentuale del 3%. Sulla base delle misurazioni effettuate dalla Voyager 2, la percentuale di rocce rappresentano tra il 20 e il 40% della massa totale del satellite.

Miranda potrebbe essere parzialmente differenziato, con un nucleo di silicati e un mantello di ghiacci, che potrebbe avere uno spessore di 135 km, mentre il nucleo avrebbe un raggio di circa 100 km. Se questo modello è corretto, la dissipazione del calore interno di Miranda avviene per conduzione termica. Tuttavia la presenza delle coronae potrebbe essere la testimonianza di un movimento di convezione termica in superficie che avrebbe origine al suo interno e che giustificherebbe una differenziazione parziale di Miranda.

Superficie

L’aspetto della superficie di Miranda è sorprendente e unica nel suo genere: sono evidenti vari strati sovrapposti, alcuni recenti ed altri più antichi, solcati da canyon (i più profondi del sistema solare), rupes, da vaste strutture ellissoidali, chiamate coronae, che potrebbero essere la sommità di diapiri ed essere state prodotte dalla risalita di materiale più caldo dall’interno della luna. I canyon sembrerebbero dei graben, mentre altre strutture potrebbero essere conseguenza di fenomeni legati al criovulcanismo. I diapiri potrebbero aver determinato variazioni nella densità locale dell’interno della luna, causando uno spostamento dell’asse di rotazione di Miranda, in un processo simile a quello che si ritiene sia accaduto su Encelado, luna di Saturno. Miranda è uno dei pochi corpi celesti del sistema solare che presentano una circonferenza all’equatore di lunghezza inferiore rispetto alla circonferenza polare.

sopra un’altra immagine di Miranda

sotto un particolare della regione angolata  di Miranda

Si crede che queste attività possano essere state causate dalle forze di marea generate da Urano. Un’altra teoria, ora considerata meno attendibile, suggerisce che Miranda sia stata colpita da un corpo massivo che ha frammentato la luna. I frammenti successivamente si sarebbero riassemblati in posizioni differenti dando origine alla strana morfologia superficiale attuale.

View Miranda

sopra una immagine di Miranda scattata dalla Voyager 2 da una distanza di 19.000 miglia

sotto una immagine della Voyager 2 scattata da 22.000 miglia

Uranus' innermost satellite Miranda

L’orbita di Miranda è inclinata di 4,34°; tale inclinazione è molto inusuale per una luna così vicina al suo pianeta. È possibile che sia stata ad un certo punto in risonanza orbitale 3:1 con Umbriel. L’attrito di marea risultante può aver causato il riscaldamento interno della luna e così essere origine della passata attività geologica.

Morfologia

Le regiones

Le regiones identificate nelle immagini scattate dalla Voyager 2 sono chiamate “Regio Mantova”, “Efeso Regio”, “Sicilia Regio” e “Regio Dunsinane”. Esse indicano aree caratterizzate da terreni ondulati e pianure più o meno fortemente segnati da antichi crateri d’impatto. In questi antichi terreni sono presenti anche delle faglie normali e delle scarpate, alcune vecchie come la formazione delle regiones, mentre altre sono molto più recenti e sembrano essersi formate dopo le coronae. Queste faglie sono accompagnate da graben causati da un’antica attività tettonica. La superficie di queste regioni è abbastanza uniforme e scura, tuttavia le falesie che si affacciano su alcuni crateri da impatto rivelano in profondità la presenza di materiale molto più luminoso.

sopra morfologia di Miranda

sotto un particolare che evidenzia tre differenti tipi di terreno su Miranda

Miranda's Geologic History

Urano visto da Miranda

Dall’emisfero che Miranda rivolge ad Urano il pianeta rimane fisso nel cielo, raggiungendo una dimensione di 22º (40 volte la Luna piena vista dalla Terra)  Dall’altra parte è possibile vedere periodicamente gli altri satelliti attraversare la volta celeste.

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