in due articoli tratti dal sito della rivista Carta misfatti compiuti in giro per il mondo dalle multinazionali del petrolio, si parla soprattutto di paesi del sud del mondo e quindi possono apparire situazioni lontane da quelle che avvengono in basilicata…..ma ne siamo poi tanto sicuri ?….leggete attentamente
nicola
La Shell chiamata in giudizio in Argentina
Marica Di Pierri Associazione A Sud
[11 Giugno 2008]
La multinazionale petrolifera anglo-olandese è stata citata in giudizio per i danni ambientali e alla salute dei cittadini causati dalle sue attività estrattive. L’ultimo anello di una lunga catena di procedimenti legali contro il colosso del petrolio.
Record di denunce per la multinazionale petrolifera Shell
Dopo Olanda, Irlanda, Nigeria, Filippine, Russia, Inghilterra e Brasile, anche l’Argentina ha deciso di ricorrere in giudizio contro la multinazionale petrolifera ango-olandese Royal Dutch Shell, accusata di violazioni alle legislazioni ambientali e di disastro ecologico.
Lo ha annunciato il Foro cittadino per la giustizia e i diritti umani [Foco] che ha despositato lo scorso 28 di maggio, assieme ad altre associazioni tra cui Amigos de la Tierra Argentina, una richiesta di citazione in giudizio contro la multinazionale presso la Cancelleria argentina e contemporaneamente presso il foro olandese competente. La richiesta di giudizio è rivolta all’impianto Capsa della Shell, situato nel polo petrolchimico argentino Dock Sud, accusato di violare le norme nazionali ed internazionali in materia ambientale e sociale e di produrre gravi conseguenze sull’ambiente e sulla popolazione insediata nell’area adiacente. Conseguenze che hanno già portato alla chiusura preventiva dell’impianto da parte della Segreteria argentina per l’ ambiente e lo sviluppo sostenibile.
La denuncia è fondata sugli innumerevoli esposti presentati dalla popolazione vittima della contaminazione provocata dall’impresa, che opera nel paese sin dagli anni trenta, e che ha prodotto conseguenze devastanti: avvelenamento dei terreni e delle acque superficiali, contaminazione dell’aria e delle falde acquifere, aumento delle malattie nella popolazione, contaminazione della fauna e della flora.
Gli abitanti delle zone più esposte alle conseguenze delle attività estrattive hanno chiesto più volte all’impresa la creazione di uno spazio di dialogo per cercare soluzioni effettive alle gravi violazioni dei diritti umani sofferta dalle comunità residenti. Richieste finora cadute nel vuoto.
Tra i punti centrali della rivendicazione delle comunità ci sono lo studio di meccanismi reali di partecipazione permanente degli abitanti nelle decisioni che riguardano gli impatti delle attività; la compensazione economica dei danni alla salute della comunità, lo spostamento, a spese dell’azienda, degli abitanti in zone salubri e la bonifica delle zone contaminate. Questa ennesima denuncia internazionale rappresenta un nuovo duro colpo per l’impresa, una delle più importanti e aggressive multinazionali del petrolio, che si trova nel bel mezzo di una offensiva che arriva da più fronti. Anche questa denuncia infatti, tende a far sì che i governi coinvolti [Argentina e Olanda] contribuiscano al processo di risarcimento e compensazione del danno causato oltre che, naturalmente, a dare visibilità all’annoso problema degli impatti della Shell su ambiente e comunità insediate. Un problema ricorrente nella storia dell’impresa e sfociato negli ultimi anni in una lunga serie di denunce proposte contro la Shell in Olanda, Irlanda, Nigeria, Filippine, Inghilterra e Brasile. In Nigeria, soprattutto, le attività della multinazionale sono una delle cause del persistente conflitto per il controllo delle risorse petrolifere della regione del Delta del fiume Niger. Oltre alla partecipazione nella repressione della protesta degli Ogoni, uno dei popoli del Delta, negli anni novanta, la Shell è implicata direttamente nella devastazione ambientale che colpisce il cuore petrolifero della Nigeria e nella corruzione del governo federale nigeriano. Tanto i movimenti di resistenza armata attivi nel Delta, a partire dal Movimento di emancipazione del Delta del Niger [Mend] hanno scelto le installazioni petrolifere della Shell e di altre multinazionali petrolifere [tra cui l’italian Eni] come bersaglio delle azioni di guerriglia. Negli ultimi due anni, gli attacchi della guerriglia hanno costretto la Shell a tagliare di un quinto le esportazioni dalla Nigeria. Senza però arrivare a ripensare l’intera politica di rapporto con le comunità locali, che in Nigeria come in Argentina, sono considerate dai vertici aziendali quasi un elemento di disturbo.
Militarizzazione e petrolio in territorio U’wa
[22 Luglio 2008]
Le comunità indigene colombiane lanciano un nuovo allarme. Governo, multinazionali e attori armati collaborano per «aprire» il territorio indigeno alle attività di estrazione del petrolio.
Alcuni anni fa in Italia come nel resto del mondo una forte campagna di solidarietà con il popolo indigeno colombiano U’wa riuscì a creare attorno al problema della difesa dei territori indigeni un’attenzione e un movimento di opinione fino ad allora inusuali. Gli U’wa avevano presentato allora il loro testamento, minacciando un suicidio di gruppo se la multinazionale petrolifera Occidental Petroleum [Oxy] non avesse abbandonato il loro territorio.
Secondo la cosmovisione degli U’wa il petrolio rappresenta il sangue della terra, ed estrarlo equivale a violare la madre terra, compromettendone il ciclo vitale. In quella occasione si confrontarono due differenti concezioni del mondo e dello ‘sviluppo’. Da una parte la cosmovisione di un popolo che ha saputo vivere l’equilibrio con la natura e l’ambiente. Dall’altra una multinazionale che per perpetuare il saccheggio delle risorse della terra invitava il Congresso degli Stati uniti ad inondare di armi la Colombia. Dopo anni di dura contrapposizione, nel maggio 2002 il popolo U’wa vinse la sua battaglia, ottenendo il ritiro della Oxy e il controllo del proprio territorio.
Da allora altre compagnie petrolifere [tra cui la Ecopetrol] hanno tentato di penetrare nel territorio indigeno per portare avanti le prospezioni sismiche propedeutiche alle attività estrattive. Nel 2006 il governo colombiano ha dichiarato di voler esplorare altri due blocchi della zona, il Catleya e il Siriri.
L’Associazione Asou´wa–che riunisce gli indigeni U’wa di Santander, Nord di Santander e Boyacá– ha denunciato nuovamente il tentativo di intrusione chiarendo che «le popolazioni U’wa sono nettamente contrarie al nuovo fronte di sfruttamento petrolifero» e ha annunciato l’intenzione di non prendere parte alla consultazione programmata dal governo per l’esplorazione dei due nuovi blocchi petroliferi. Nonostante il rifiuto, nel dicembre dello stesso anno è arrivato dal Ministro degli interni e della giustizia il via libera al progetto di sfruttamento. Di fronte alla nuova offensiva nel 2007 le comunità hanno intrapreso la strada di una nuova denuncia pubblica contro il governo colombiano, e hanno sollecitato l’appoggio internazionale per chiedere al governo colombiano di rinunciare a tutto il progetto petrolifero nel territorio indigeno.
Negli ultimi due anni le comunità U’wa hanno subito una progressiva militarizzazione del territorio. A causa della presenza degli attori armati e della situazione di instabilità nella regione, molte organizzazioni sociali hanno lanciato nelle scorse settimane un appello per la salvaguardia del territorio, e hanno inviato al governo colombiano una lettera in cui chiedono l’adozione di misure urgenti per garantire la sicurezza e la sopravvivenza delle comunità originarie e l’abbandono immediato del territorio da parte delle forze armate.
L’appello spiega che già alla fine del maggio scorso le autorità U’wa hanno denunciato pubblicamente la presenza della forza armata pubblica e dei gruppi armati irregolari nel proprio territorio e le numerose violazioni da esse compiute all’interno delle comunità. Le forze armate avrebbero occupato le abitazioni degli indigeni, bruciato i loro indumenti ed utensili, raccolto i frutti delle coltivazioni di sussistenza, molestato le giovani U’wa, contaminato alcune fonti d’acqua.
Asou’wa ha inoltre denunciato i tentativi di divisione e di corruzione messi in atto da organismi statali negli ultimi mesi. Alla fine del maggio scorso, la Direzione generale per le rtnie del Ministero degli interni ha disposto tramite risoluzione pubblica che le comunità di Uncasia e Segovia siano escluse dall’affiliazione ad Asou’wa, cercando in tal modo di frammentare l’organizzazione indigena e la sua capacità di organizzazione e resistenza.
La situazione nel territorio U’wa diviene progressivamente più grave. Non è un caso che negli ultimi anni altre zone del paese abbiano subito lo stesso destino. Nelle regioni del Chocò, Nariño, Guajira, Norte de Santander, Guaviare e in molti altre regioni della Colombia la militarizzazione e il tentativo di corruzione di leader indigeni e di interi pezzi di comunità sono divenute pratiche diffuse usate per debilitare la resistenza delle comunità e permettere la penetrazione delle multinazionali e lo sfruttamento delle risorse anche nelle zone dove forte è l’impegno per la difesa del territorio.