tratto dalla pagina https://www.facebook.com/TavernaOraziana/
parliamo di aglianico, ovvero il più pregiato vino delle tavole lucane (che annoverano però altri vini nobili di cui parleremo) definito non a caso “Barolo del Sud” per via delle sue eccellenti caratteristiche organolettiche per certi versi simili a quelle del rinomato vino piemontese
Zona di produzione
l’articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 18/02/1971 conferisce il marchio DOC al vitigno Aglianico del Vulture.
I comuni interessati alla produzione sono Rionero in Vulture, Barile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania, Montemilone.
La vendemmia
La vendemmia viene tradizionalmente effettuata a partire dalla seconda metà di ottobre per 3-4 settimane, sino alla metà di novembre. La resa massima per ettaro è stabilita in 100 quintali, mentre la resa delle uve in vino non deve superare il 70%. L’intero processo produttivo, compresa la vinificazione e il successivo invecchiamento obbligatorio, deve essere svolto interamente nell’ambito della zona di produzione sopra specificata.
L’Aglianico del Vulture DOC viene prodotto da oltre 50 aziende presenti sul territorio, per un totale di oltre 1500 ettari coltivati. Le aziende vitivinicole producono oltre 3.8 milioni di bottiglie all’anno, commercializzate con 113 etichette diverse.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso rubino intenso che con l’invecchiamento assume riflessi granato-aranciati
odore: armonico, fruttato e cresce in intensità e gradevolezza con l’invecchiamento
sapore: al palato presenta un sapore asciutto, caldo, sapido, molto armonico ed equilibrato e che con l’invecchiamento diventa sempre più vellutato; il contenuto di tannini è ideale e con l’invecchiamento diventa sempre più vellutato ed imponente al palato.
Questo vino si presta in modo ideale all’invecchiamento, nelle tipologie “Vecchio” (invecchiato almeno 3 anni, di cui due in barriques) e “Riserva” (minimo 5 anni, anche in questo caso almeno due anni in barriques).
L’Aglianico del Vulture non invecchiato non può essere messo in vendita prima che sia trascorso un anno dalla vendemmia, e comunque non prima del 1° novembre dell’anno successivo. Esiste la tipologia “Spumante”.
Oltre alle specialità a DOC e DOCG, in questa zona della Basilicata si producono anche vini senza marchio ma comunque degni di menzione come ad esempio l’“Aglianico di Filano”, l’“Aglianico Dolce” e l’“Aglianico di Rionero”, oltre a numerose produzioni di tipo familiare.
Abbinamenti
Si presta particolarmente bene all’abbinamento con carni (rosse soprattutto, ma anche bianche) grigliate, allo spiedo o al forno. Ideale per brasati, arrosti e ricchi piatti a base di selvaggina e cacciagione, e con formaggi stagionati saporiti come il caciocavallo lucano oppure il canestrato di Moliterno IGP prodotto con latte di pecora e capra o con piatti a base di questi formaggi (vedi strascinati cacio e crusch’) a temperatura di servizio consigliata di 18-20°C. La versione spumantizzata è ideale per crostate di frutta, piccola pasticceria e dolci tradizionali. In questo caso il vino va servito più freddo, intorno agli 8-12°C circa.
Storia
L’Aglianico del Vulture (come tutti i vitigni appartenenti all’Aglianico) ha origini che si ritengono introdotte dai greci nel sud Italia tra il VII-VI secolo a.C, visti anche i resti di un torchio di età romana ritrovati nella zona di Rionero in Vulture ed una moneta bronzea raffigurante l’agreste divinità di Dionisio, coniata nella zona di Venosa nel IV secolo a.C.
L’origine del suo nome è incerta, c’è chi sostiene che sia ispirato all’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Lucania, e chi lo considera una storpiatura della parola Ellenico. Gli antichi romani lo ribattezzarono poi “Vitis Ellenica” e lo sfruttarono anch per produrre il vino Falerno, il vino degli imperatori.
Una delle testimonianze storico-letterarie sulla storia di questo vitigno ci sono state lasciate da Orazio, poeta latino di Venosa che esaltò le bellezze della sua terra e il vino in questione.
Durante il dominio svevo, Federico II promosse la coltivazione del vitigno. Nel 1280 Carlo I d’Angiò, in vista di un soggiorno estivo a Castel Lagopesole con la corte angioina, ordinò al giustiziere di Basilicata la fornitura di 400 salme (pari a 185 litri) di vino autoctono, da lui chiamato “vino rubeo Melfie”. Inoltre, il sovrano angioino emanò disposizioni per la tutela dei vigneti regi e condannò il secreto Costantino Caciole di Trani per essersi disinteressato ai vigneti di Melfi. I vini del Melfese, graditi ai regnanti svevi e angioini, furono anche richiesti ed apprezzati dai mercanti fiorentini dell’epoca. Il notevole incremento della viticultura, legato anche ai nuovi impieghi del vino modificò il paesaggio delle campagne, tanto che nel XV secolo i vigneti occupavano interamente le pendici del Monte Vulture tra Melfi, Rapolla e Barile. Le fonti di quel periodo citano il “vino rosso di Melfi”. Le cantine erano spesso ricavate nelle grotte (a Melfi, un inventario del 1589 ne registrava 110).
Il nome originario (Elleanico o Ellenico) fu cambiato nell’attuale Aglianico durante la dominazione aragonese nel corso del XV secolo, a causa della doppia ‘l’ pronunciata ‘gl’ nell’uso fonetico spagnolo.
Un vino unico per tipologia, spettacolare, sia invecchiato che fresco, che esalta la cucina lucana