cento anni dalla prima guerra mondiale…

28 luglio 1914 – 11 novembre 1918

 

ci sono date che occupano un posto nella storia e persino nella memoria, dove si affastellano i ricordi che ho ascoltato e conservato da bambino, avendo conosciuto qualcuno che c’era ed avidamente cercato di tenere tutto dentro di me…

ed è proprio di questo, dei ricordi, che vorrei scrivere…non delle scorrere degli avvenimenti, delle cronache, di tutto ciò che potrete trovare ovunque, da un buon libro di storia (dalla cui conoscenza critica non si può e deve mai prescindere) ai racconti televisivi, persino alle suggestioni vere o più facilmente verosimili che raccontano la prima guerra mondiale, ma appunto dei ricordi che questo centenario mi suscita, pur se l’ingresso in guerra dell’italia avvenne quasi un anno dopo, nel 1915…

ed i ricordi ovviamente non sono i miei, ma, avendo avuto la fortuna o semplicemente la ventura di appartenere a generazioni lunghe, quelle generazioni dove capita di avere magari un nonno nato nel secolo precedente (ed i miei nonni paterni e materni, erano nati rispettivamente nel 1892 e nel 1900), i racconti diretti od indiretti erano materiale che in qualche modo oltrepassava la retorica di cui pure la mia infanzia scolastica era ancora riempita…

così tra l’eco di canzoncine sul piave o sugli alpini, più che la lettura inevitabile dei testi scolastici intrisi di una retorica patriottarda che sembrava stridere con un mondo di cui intuivo, seppur ancora troppo piccolo di età per esserne protagonista, il veloce cambiamento, furono i racconti diretti dei partecipanti a quella guerra a rendermi il quadro di ciò che la guerra fu per le persone…

e non furono i racconti di mio nonno paterno che quella guerra la combattè per anni in prima linea (morto nel ’54, quindi prima che avessi la fortuna di conoscerlo), decorato al valore militare, e neppure quelli di mio nonno materno, troppo giovane per partecipare direttamente al conflitto (l’ultima generazione chiamata attivamente al fronte fu quella del ’99), ma quelli riflessi di una epopea familiare che, come praticamente ogni famiglia d’itala, coinvolse due famiglie, quella di mio padre e quella di mia madre, allora ancora ignare di doversi incontrare un giorno e magari dare origine al sottoscritto, due famiglie che in qualche modo parteciparono direttamente ed indirettamente a quella guerra…

la famiglia paterna appunto con mio nonno michele che prese parte alla guerra e fortunatamente riuscì a ritornare, e la famiglia materna, dove pur non avendo mio nonno rocco partecipato attivamente al conflitto, il tributo – e fu di sangue – riguardò il fratello maggiore di mio nonno, vincenzo, che da quel conflitto non ritornò mai più…e riguardò le famiglie tanto che di ciò che il conflitto rappresentò per loro ne ho avuto racconto dalle due giovani spose di quei nonni, camilla moglie di michele che partorisce il suo primo figlio giuseppe nel ’17, in piena guerra, presumibilmente concepito durante una licenza di mio nonno (non erano cose che si poteva chiedere ad una nonna che mi ha accompagnato sin quasi al suo secolo di vita), e maria che non potendo raccontare della lunga attesa di un marito che al fronte non era andato, mi raccontò in vece di mio nonno rocco che di parole ne aveva avute sempre poche ed il resto le aveva perse per le strade dolorose della vita, di quello zio vincenzo, bello come il sole (e quella foto in divisa che sin da bambino rimiravo lo testimonia appieno), dalla vita sfortunata (e di questo preferirei non raccontare qui ed adesso) e dal destino tanto triste da cancellarne l’esistenza a soli 20 anni…

ma non è l’epopea familiare che voglio raccontare, dovendo in quel caso risalire il secolo sin oltre il secondo conflitto mondiale che coinvolse davvero completamente le due famiglie e che pur non portando morti da piangere, vide delle prigionie lunghe e devastanti nei figli, ma l’epopea di una generazione, quella dei nonni, dei nonni di chi, come il sottoscritto, poteva considerare tali quegli asciutti vecchietti di fine secolo che non mancavano di raccontare, tra una lacrima ed un sospiro, di compagni e fratelli partiti al fronte per una guerra magari poco capita, caduti tra le bombe, le pallottole ed i gas e spesso mai ritrovati, ossa tra le ossa di un ricordo che allora, in quelle parole, era ancora vivo, personale, generazionale e non ancora storia impersonale, quale inevitabilmente si trasforma quando i protagonisti non ci sono più ed i ricordi stingono dal personale di ciascuno al sedimento storico di una nazione…

così scomparsi quei protagonisti che a me, come a tanti altri della mia e delle precedenti generazioni, magari non troppo loquaci o descrittivi come il sottoscritto, capitò in sorte di poter conoscere ed ascoltare, non resta appunto che tentare di rendere per i più giovani meno impersonale la sensazione di cosa quella guerra fu per un paese che da poco era stato unito e neppure ancora poteva considerarsi tale, nelle lingue, nelle culture ed a volte persino negli strappi della storia (in lucania ancora nel 1865, quindi 50 anni prima, era lo stato che uccideva, che devastava, che fucilava in massa chiunque era sospettato di manutengolismo verso i briganti), e per i suoi cittadini spesso poco istruiti, quando non analfabeti, il cui universo-mondo finiva il più delle volte al limitare dei campi coltivati del proprio paesello arroccato sulle montagne…

quel paese così arcaico e che pure faticosamente arrancava dietro una modernizzazione industriale che fu proprio la guerra e le commesse militari a spingere, quel paese dove era più facile emigrare dall’altro lato del mondo che richiedere attenzione e cura da parte di uno stato che pure faticosamente tentava di essere tale, in un conflitto perenne tra vecchio e nuovo, quel paese dove la fatica del lavoro era reale, era sudore, erano lacrime, era la lotta per la sopravvivenza di una generazione che tentava di liberarsi, il più delle volte inconsapevolmente, dalla certezza di esser sudditi per poter aspirare ad essere cittadini, magari inseguendo le parole di quei pochi che allora, prima dello scoppio della guerra e durante la stessa guerra, parlavano di giustizia sociale, di cambiamento, anche di rivoluzione, inseguendo magari quel mito dell’immaginario che era così legato alle poche e scarne notizie che giungevano dalla vera rivoluzione, quella che nasce nel ’17 dalle rovine di una guerra disastrosa in russia, dove a sparire era una idea arcaica ed immutabile del mondo, sostituita da una speranza che saltava a piè pari l’ostacolo, proiettandosi nel futuro, una speranza che dopo solo pochi anni si era tramutata nella follia di credere di poter organizzare ogni istante ed anche ogni moto interiore della vita di un essere umano…

e da bambino, e poi ancora da adolescente, quel paese in cambiamento doloroso e così sanguinoso lo leggevo più che nei libri di scuola, inevitabilmente noiosi per uno che le storia già la penetrava, dissezionandola con i pochi mezzi che l’età ed il deludente rapporto con gli stessi maestri e i troppo spesso inadeguati professori mi consentiva, nei racconti di quegli occhi profondi di vecchi, asciutti di durezza della vita, eppure pronti ad inumidirsi al solo ricordo di quelle mattanze sul carso, sul grappa, sul s.michele, sul tagliamento ed ovunque si era combattuto per pochi metri di una terra inconosciuta ai più e che forse solo dopo il colpevole disastro di caporetto, la ritirata e la resistenza sulla linea del fiume che, come si legge dai cartelli stradali attraversandolo, è il “fiume sacro alla patria”, divenne finalmente italia e divenne finalmente il proprio paese…

ma non è mia intenzione costruire retorica, né fare o disfare le trame della storia e neppure tentare di costruire un filo tra i ricordi di cui mi sento orgogliosamente custode – e di cui farebbe bene chiunque conservi dei ricordi di quella guerra a sentirsi tale – e che tento di condividere con chi anagraficamente non può possederli e che oggi forse rischia di essere preda di quella nullificazione del senso della storia appiattita in un presente eterno che è di certa modernità a cui colpevolmente si è fatto ricorso come balia da parte di troppi genitori di oggi…

no, tento soltanto di ricordare quella guerra per come l’ho vissuta, nei ricordi di una generazione di uomini e donne che non ci sono più, che sono stinte foto su lapidi dimenticate nei nostri cimiteri e che non dovremmo dimenticare…

ecco, il mio ricordo di questo centenario non va alla data ed alla storia che termina, transita e riparte da quella stessa data, non va alla storia, quella con la s maiuscola che inevitabilmente diventa nel fluire dei decenni ed egli avvenimenti il calderone dove si depositano tutte le storie, quelle personali, quelle che oggi voglio umilmente omaggiare, facendo diventare nel mio ricordo quegli occhi di vecchietti asciutti e dolorosi i protagonisti di una grande storia che ha richiesto il sacrificio di tante, innumerevoli storie personali perse nell’oblio del tempo e di cui mi ritengo fortunato averne potute conoscere qualcuna e serbarla dentro come qualcosa di prezioso…

il mio grazie a quei giovani, a quelli divenuti vecchi e a quelli che non poterono mai diventarlo…mi hanno aiutato a crescere!!!…

milo somma   

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calma di 24 ore…

27/07/2014

le parole hanno un certo peso nella cultura araba…hamas accetta la proposta di tregua dell’onu, non quella di israele, ma la chiama “calma di 24 ore”

miko somma

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i prigionieri della striscia…nè con hamas, nè con israele, ma con loro…

il gioco al massacro pare dover ripartire quindi e riparte dopo la rottura di una tregua unilaterale, stabilita dal gabinetto di guerra israeliano, che prolungava la tregua bilaterale di altre 24 ore dopo la scadenza del primo termine e del secondo che scadeva appunto alle 24 di ieri…

e riparte perché hamas non accetta il prolungamento della stessa tregua non negoziata e spara razzi e colpi di mortaio su israele che immediatamente riprende le operazioni…ed a vederla così sembra proprio che siano i brutti, sporchi e cattivi di hamas a volere che il buon esercito di sion riprenda il suo massacro quotidiano, ma forse la cosa, come tutte le cose del medio-oriente, è più complessa di quanto appaia…

forse, avendo stabilito e dando per certo che hamas sia un’organizzazione di giocatori di scacchi sulla pelle del loro stesso popolo (cosa della quale sono più che sicuro), ragionando militarmente (e purtroppo sono loro, i contendenti, che ci abituato a simile pensare) il prolungamento della tregua da parte di Israele era però alquanto “peloso”, poiché se in nulla diminuiva la pressione di israele stesso nella striscia di gaza che continuava le sue operazioni, la tregua consolidava il suo esercito nelle posizioni raggiunte pur senza sparare nel mucchio e metteva hamas in pericoloso stallo difensivo – per usare una immagine sportiva è come se un pugile dopo aver atterrato il suo rivale se ne rimanga ad incombere minaccioso di riprendere a picchiarlo su questo, piuttosto che essere allontanato dall’arbitro che così concede una chance di ripresa al pugile caduto…militarmente quindi il prolungamento della tregua danneggiava hamas e consentiva ad Israele di “far riposare” una opinione pubblica interna meravigliata dall’alto ed inedito numero di perdite tra i suoi militari (tanto per ricordare nell’operazione piombo fuso le perdite di militari israeliani si sono fermate a 10 caduti), bloccando comunque hamas in ogni movimento riorganizzativo che sarebbe stato stigmatizzato subito come offensivo, dando origine a risposte israeliane…

ma è l’effetto politico il punto che Israele intendeva raggiungere, da un lato “concendendo” una tregua non negoziata, quindi che non comportava un riconoscimento politico ulteriore di hamas come controparte e non dava origine a quelle condizioni di trattativa con la stessa hamas che pure gli sforzi di kerry, segretario di stato usa, postulavano, dall’altro sapendo che se hamas non avrebbe potuto fare altro che romperla (apparendo all’opinione pubblica internazionale e soprattutto interna quasi una resa accettarla, ciò implicando inoltre una sorta di sconfitta dei pochi alleati esterni che hamas può ancora contare nello mutevole scacchiere medio-orientale), dall’altro apparendo ora Israele “costretto” a rispondere alla violazione della stessa tregua (e che in realtà non era una violazione, non essendoci stato alcun accordo) e così uscendo dall’immagine di ferocia con cui giocoforza l’immagine dello stato ebraico si era vestita, pur nei tanti più o meno ipocriti distinguo su un diritto all’esistenza ed alla sicurezza che “giustificano” una reazione tremenda pur in assenza di una minaccia concreta tale da poter essere davvero distruttiva in un panorama attuale in cui Israele non è mai stato meno minacciato nella sua storia…

e vorrei a tal proposito ricordare che per diversi motivi mentre sia siria, che libano, che giordania ed egitto sono stati completamente disinnescati come entità statali “nemiche” dell’esistenza dello stato di Israele (cosa che però non deve far dimenticare l’esistenza di frange oltranziste che farneticano ancora della distruzione di israele stessa), l’iran non ha alcun interesse strategico oggi a ficcarsi in un vicolo cieco sostenendo hamas, proprio mentre si allenta la tensione internazionale sul suo potenziale nucleare…

rimane però oltre la strategia e la tattica militare e geo-politica, oltre le considerazioni strettamente di immagine in cui pure occorre si veda un conflitto che scorre comunque sotto gli occhi del mondo, il problema di un popolo, quello di gaza, a cui la giornata di ieri era servita per respirare ed a cui tocca ancora riprendere però l’apnea terribile di una sopravvivenza impossibile sia nel contesto immediato dei bombardamenti e dell’impossibilità di trovare alcun rifugio sicuro in un luogo che risulta avere una delle massime densità abitative del mondo, sia nel contesto consolidato di un embargo e di un blocco dei valichi di frontiera che dura da 8 anni, tranne che per le poche e sempre molto trattate spedizioni umanitarie gestite da u.e. ed onu, che renderebbe la vita impossibile a chiunque, se pur vita può chiamarsi quella di un qualsiasi “prigioniero della striscia”…chiedetevi allora se i tunnel servivano solo per le “spedizioni” di hamas o se non servissero anche e soprattutto per quel contrabbando che arricchiva anche molti frontalieri israeliani ed egiziani, ma che di fatto era uno dei pochi e molto costosi canali di rifornimento di viveri e medicinali…

e così se la ragione spinge a vedere più in profondità di ciò che accade, ponendosi domande e tentando di darsi risposte che non siano nella sola emozione, l’emozione stessa però non può essere confinata oltre lo schema razionale, ingabbiata e resa sterile dalla speculazione intellettiva…e quell’emozione, quella si sapere che riprendono morte e terrore per gli abitanti di gaza, chiunque le procuri, non può che non riempire il cuore di mestizia per le sofferenze degli ultimi tra gli ultimi, sofferenze che spero ardentemente possano presto cessare sia nell’immediato di un cessate il fuoco, sia in quel contesto di accordo internazionalmente garantito e nel quale tutte le controparti si riconoscano in quanto tali e possano dare origine all’unica via possibile per la pace, quella del riconoscimento reciproco e duraturo di due popoli in due stati che pure al fatah, la fazione-partito che fu prima di arafat ed oggi di abu mazen, si era impegnata ad accettare ed aveva accettato sin dagli accordi di oslo e dalla stratta di mano tra rabin ed arafat…

e nel mentre il contesto di una opinione pubblica si legge anche dalle foto e quella che pubblico è una foto emblematica, il tatuaggio di un militare che riporta i confini di uno stato di israele dove non esiste neppure la west bank, oltre gaza,

 un pensiero questo sempre più radicato in una opinione pubblica israeliana che alcuni sondaggi danno quasi per intero favorevole all’azione militare su gaza ed al suo prolungamento fino alle più estreme conseguenze (e che un po’ sono proprio quelle di quei confini dopo la guerra del ’67), voglio continuare a gridare il mio amore per il popolo palestinese che soffre dal 1948 e di cui questa di gaza è un’altra pagina dolorosa di un libro che spero venga chiuso al più presto per ricominciare a scriverne un altro, quello della pacifica e serena convivenza tra due culture meravigliose, eppure oggi schiacciate da estremismi guerrafondai che pongono il conflitto perenne ad affare irrinunciabile, dal cui incontro fattivo ed includente non potranno che nascere spinte meravigliose per la crescita civile, economica e culturale del medio-oriente tutto…

e così IO STO con i prigionieri della striscia e con la speranza, né con hamas, né con Israele!!!

miko somma

 n.b. e per chi avesse voglia di approfondire il casus belli, la morte dei tre ragazzi israeliani barbaramente trucidati, vi consiglio al link questo interessante articolo del manifesto che apre prospettive davvero inedite su questo massacro e su chi lo ha ordinato e per quali motivazioni…

http://ilmanifesto.info/attacco-preordinato

 

 

 

 

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27/07/2014

ok, visto che avrei qualche residuale capacità di scrittura, figlia di una tendenza all’analisi, mi sarebbe venuta voglia di cominciare a distruggere qualche ipocrita ignorante mestator di deiezioni che inquina la scena politica lucana…

e mo’ so cacchi vostra!!!…

miko somma

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